Alfredo Zampolini: I fior di camp |
PREMESSA
Urbino non ha tradizioni consistenti di poesia dialettale: lo stesso suo dialetto — che la storia recente della città ha impoverito di articolazioni e spessori sociologici, ha svuotato di 'memoria' collettiva, ha quasi privato d'identità — sembra a tratti sul punto d'estinguersi. Tanto più va allora apprezzata l'iniziativa del Gruppo Dialettale Urbinate che, riunitosi spontaneamente attorno ad Alfredo Zampolini, ha creduto opportuno intrecciare, in questo volumetto dal titolo teneramente fiorito, qualche testimonianza della non fiorentissima musa di casa nostra: voci di poeti scomparsi e già in vario modo circolanti (Betti, De Scrilli, Sabbatini), e voci di ancora viventi, taluni financo inediti. Di ognuno di loro non servirebbe, in questa sede, distinguere le virtù e i vizi; né avrebbe senso registrare consensi o perplessità: quasi inevitabili, queste ultime, di fronte ad esperimenti spesso estemporanei, nei quali il dialetto è talvolta subito più che utilizzato, strumento di poetica evasione o dì bonaria e scanzonata stilizzazione più che di riflessione 'alternativa'; nei quali infine si apprezzerebbe un più di circospezione e di astuzia e di orgoglio formali. Quel che importa, invece, è insistere sull'importanza e sul significato globale dell'iniziativa che, implicitamente e forse inconsapevolmente, sono anche politici: riguardando cioè la città, e il viverci dentro, e il riconoscersi in essa. Per più segni — e le ragioni sono molte e complesse, e certo sono anche ragioni della sua difficile e faticosa crescita — la città vive giornate difficili, tese; un modo antico di vita va logorandosi, confusamente, pigramente, quasi senza ricambi; una cultura, e con essa un dialetto, vanno progressivamente perdendosi: inascoltati, al margine. Sono, dunque, queste pagine, il segnale inquieto d'un pericolo? l'ultima voce, l'estremo appello d'un gruppo sul punto d'estinguersi? un grido — discreto, civile e schivo — di ribellione e di protesta, contro l'emarginazione e l'isolamento? Non so resistere alla tentazione di leggere in questa chiave l'iniziativa degli amici del Gruppo Dialettale Urbinate; di attribuire, a questa ripresa di interesse per la poesia dialettale della nostra città, a questo responsabile gesto di pietas storica, il valore di un sintomo, 'politico', da meditare. Tanto più, se ripenso che, nei giorni più accesi della polemica sul progetto Pomodoro per il nuovo Cimitero — che, a mio giudizio, ha costituito comunque un momento vivace e interessante di confronto politico e culturale sul modo di gestire la vita della città —, proprio al dialetto, alla poesia in dialetto — oltre che all'anonimato — s'era affidato un modo del dissenso e della protesta. Molte cose stanno accadendo ad Urbino, dove pure sembra che nulla accada: cose che risuonano già, che già figurano, liberamente inscritte in queste voci della città: che meritano d'essere ascoltate — e meditate —> e che ha ragione il Gruppo Dialettale di farci riascoltare. In un recente convegno su "Il verde e la città", organizzato dall' Amministrazione Provinciale alla Sala Serpieri, l'architetto Giancarlo De Carlo ha illustrato, con la maestria che tutti gli riconosciamo, il miracoloso equilibrio urbanistico che Urbino inventa e realizza grazie all'intreccio e al rapporto, delicatissimi, fra strutture di verde e strutture architettoniche; ha celebrato il prestigio del nostro paesaggio, e quel suo straordinario vivere in simbiosi con la città (parte della città anch'esso), come d'un animale, disteso o acquattato tra case piole strade, che cambia il pelo ad ogni stagione, inimitabilmente. Mescolava, l'architetto De Carlo, elegante arguzia intellettuale a punte di, per l'occasione, compunto estetismo: quasi poi non fosse toccato proprio a lui in sorte di scuoiare il vivo animale, il sublime parterre verde-bruno del Mercatale, lì, proprio sotto il Palazzo. Ignorando il pianto — forse ingenuo, ma di una tenerezza toccante — del nostro amico Fuffi (che fu il pianto di molti urbinati): in una poesia che queste pagine oppor tunamente ripropongono all'ascolto. Ma che soprattutto allora avrebbe dovuto essere ascoltata: o, quanto meno, non ignorata o cinicamente derisa. Giorgio Cerboni Baiardi
3 Presentazione |
I POETI BRUNO BETTI, ha vissuto interamente la vita sociale e politica di
Urbino dagli anni che precedettero il fascismo a quelli del periodo
della dittatura e della repubblica, fino al 1968, anno della sua
morte. Di umile estrazione sociale, il poeta visse sempre una vita
stentata, alle prese col problema della occupazione e del
sostentamento della famiglia. BRAMANTE BUSIGNANI professore di disegno a Cagliari, artista già affermato in diverse mostre, è cittadino urbinate. Si è trasferito per motivi di lavoro in Sardegna nel 1958. NINO CESARONI nato a Urbino il 23 dicembre 1919, vive in Urbino. Impiegato presso l'Ente Ospedaliero di Urbino, attualmente in pensione. Ha svolto per molti anni attività di orchestrale e ha fatto parte della ban- da cittadina. Ha cominciato a scrivere poesie dal 1944 per diletto e senza alcuna pretesa letteraria. A tutt'oggi ha scritto 30 poesie dialetali che molte volte ha letto in pubblico. FABIO COEN è laureato in giurisprudenza ed è stato agente
procuratore per le Assicurazioni Generali di Urbino, dove nacque
nell'anno 1909. RENZO DE SCRILLI, è stato medico in Urbino per tutta la vita. Chi non lo ricorda bonario sorridente e a volte anche scherzoso? Eppure nell'intimità egli si poneva grandi problemi: la vita, la morte, il dolore, la rassegnazione, la speranza. Nelle sue poesie egli sa presentarci con tratti effi- caci diversi personaggi ur- binati e ci offre un quadro colorito della vita della città, del suo rione specialmente, quello di S. Margherita. TONINO FABI è nato in Urbino nell'anno 1951. Laureato in sociologia ricopre l'incarico di dirigente il servizio pubbliche relazioni del Comune di Urbino. Ha al suo attivo diverse poesie in dialetto. GIUSEPPE MARIOTTI, è stato insegnante elementare fino all'anno 1967, ultimo anno della sua vita. Interessato a diverse attività — storiografo di Urbino, numismatico delle monete del ducato, amante e cultore dell'arte — presente nelle sue poesie, sul filo di un umorismo sottile, ariosi quadri paesani. Con la poesia «El vent e la cerquella» egli vinse nel 1959 una medaglia d'oro con diploma al premio dialettale Odoardo Giansanti. AMATO MICHELINI è un anziano urbinate che si è trasferito a Roma negli anni del primo dopoguerra per motivi di lavoro. Come spesso avviene nella gente del popolo non è mancato all'appuntamento con la poesia, nel ricordo anche della sua città lontana. Vasta è la sua produzione rivolta di preferenza ai problemi sociali e politici. Attualmen- te è ospite della Casa di riposo S. Colomba di Pesaro. FOSCOLO SABBATINI lasciò presto Urbino per trovare altrove un posto di insegnante di educazione fisica. Ma la nostalgia dei parenti, degli amici, lo ricondussero ogni tanto nella sua città natale. E sono proprio questi agognati ritorni — la gioia di sentirsi a casa, il felice incontro con gli amici del Circolo — che lo ispirarono. Egli compose poesie rivolte a presentarci i toni comici della vita con abili e spassose caricature. FULVIO SANTINI (Fuffi) Insegnante d'arte applicata all'Istituto artistico di Urbino (dove è stato chiamato per i suoi meriti ma anche per la generosità della Presidenza), Fuffi è l'artigiano più conosciuto di Urbino. Da 50 anni modella il ferro con passione e abilità completando i suoi originali prodotti con i versi della sua toccante poesia. Ha anche partecipato ad alcune mostre ottenendo generale riconoscimento. Fuffi ama definirsi un innamorato di Urbino, la sua città. Ma anche la città si riconosce in lui, considerandolo un tipico rappresentante dell'umanesimo popolare. GOLIARDO SEVERINI nato a Urbino il 31 ottobre 1910, di professione operaio nichelatore, attualmente a riposo. Ha scritto una ventina di poesie dialettali su temi suggeriti dall'ambiente di lavoro e dalle amicizie nate nel campo musicale. Ha fatto parte in qualità di suonatore di basso della ex banda cittadina, e di baritono del coro della Cappella musicale. Ha interpretato, come dilettante, alcuni ruoli negli spettacoli allestiti da un gruppo di appassionati riuniti nella cosi detta «Cricca del Teatre», negli anni dell'anteguerra. ALFREDO ZAMPOLINI vive a Urbino dove è nato. Direttore didattico dal 1962 ha numerose pubblicazioni su Riviste della scuola. Ha pubblicato nel 1973 un libro di narrativa «La scuola nei fossi» per i tipi di Armando. Come poeta dialettale è inedito.
RAFFAELE ZAMPOLINI tempra robusta di vecchio urbinate, conosciuto per la sua lunga attività sportiva, si è distinto anche nella poesia. L'ispirazione a scrivere i versi gli è venuta in occasione di fauste ricorrenze familiari o di avvenimenti sportivi e ancora lo sostiene alla bella età di 90 anni. Purtroppo, mentre il libro era in corso di stampa, Raffaele Zampolini si spegneva il giorno 10 novembre 1978.
La foto di fianco riproduce Raffaele nelle gare nazionali di atletica del 1930 a Perugia
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LA FIURITA di Alfredo Zampolini
I fior dle viol nate da poch in tel grep de front a la Villa, copren la terra secca e indurita dal gel d'inverne.
Dov ier en c'era nient adess è un spetacol, e quest è '1 segn ch'la stagion se rinova, e alora artorna la speransa.
I fior fan un tapet che vria sfiorè sa i dit apena, per sentì el fresch dl'erbina tenera; le gambin vria liscè e cla testina scura che pend da 'na part, che se dondola al soffi del vent.
Passen veloc le machin, una alla volta, san gran chiass de rót e de motor. Nesun s'acorg de nient, nesun guarda chi fior.
Pasne le donn rasent al grep sal lor burdel per man, tirand via drit per consegnè chi fiol; epur basteria alsè el sguard per veda chel miracol.
Pasne i student sa i libre sott i bracc tra urla e cant de lotta e ribellion, 'na fila lunga che non schianta mai; e lor nemen ce pensen a quel ch'intorne c'è.
Ste corra sempre in furia da ogni part, a occh chius, ste distach, st'indifferenza, è 'na vergogna grossa. Dovria ni' in ment che el mond è grand e bell: basta sapel guardè per rincuorars un po!
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EL CENTENARI DLA BANDA di Raffaele Zampolini
Già sapet che propi st'ann casca el centesim ann dla fondasion del Concert ch'avut un pasat liet e cert. Perciò stasera el càs saria de nominè, in vostra compagnia tutt 'i gran predecesor, tant i poret, com i signor. Tla musica en contne i quadrin, ce vol el cor, el cervel fin, ce vol l'orecch, el sentiment, tutt el rest en val propi gnent. Ecch per prim el maestre Alitti consolava anca gl'afflitti sa la su' bachetta magica, sia tl' allegra com tla tragica. Vien per scond Vittorio Albini, grand amich de Zampolini, 'na cornetta strabigliant ch'incantava ma tutti quant. Po' el flautista Capanelli, imitava el vers di ucelli; pareva ch'avessa i richiam, invec eren i labbri e le man. Parlava la cornetta d' Giammartini colega e amich de Sansuini. Cangini batteva la gran cassa e i dava giò a man bassa. Annibale Albini sal su bass coi colleghi stava al pass e Fontana e i due Ubaldi eren bravi, mai spavaldi. Tanti eren i sonator de clarini con Paci e il buon Montini, tanti eren gli ottoni con Lucas e Gigioni. De Patachin e la monachella girava per Urbin la gran storiella. I piaceva tant el tabacch de sonè en era mai stracch! De Rosciol (tromba) en ve parle rosigava com un tarle, se gonfiava com un palon, s'arconsolava da Zinzon. Cardinali dett Gagin picchiava fort el tamburin, mentre Sisto sa i su bei lavor spandeva spess un gran odor. A chi temp en c'erne i gagà, i compens i portava Gnagnà. Erne pochi alora i soldini mo sudati, vel die Zampolini. La cena de Santa Cecilia era daver 'na meraviglia. Facevne tutt da per lor sensa bsogn dl'albergator. Chi capava le patat, chi pensava all'infornat, chi la carna e chi el pan, chi el vin tle damigian. Chi la pasta e chi l'arost, chi approntava tutt'i post, chi la frutta e chi el fritt, tutti compatti, filavne dritt. E' una cosa da non creda, bsognava essa malé per veda! Qualch vecchion s'arcorderà dle magnat e dla qualità. Sostenemle donca ste Concert, en facem i noiós e gl'incert, continuam la gran tradision sensa smentì l'antica passion.
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