ABBREVIAZIONI NEL TESTO
agg aggettivo
agg. num. aggettivo numerale
arc. arcaismo
avv. avverbio
avv. più pron. avverbio più pronome
cong. congiunzione
en. particella negativa
inter. i nteriezione o esclamazione
pron. pronome
pron. ind. pronome indefinito
pron. pers. pronome personale
s. f. sostantivo femminile
s. f. pl. sostantivo femminile plurale
s. m. sostantivo
maschile
s. m. pi. sostantivo maschile plurale
V. vedi
vb. verbo
|
PREFAZIONE
Questo
potrebbe essere il primo vocabolario comparato del dialetto di
Urbino città e dintorni, ma nessuno si aspetti di trovarvi tutte le
parole conosciute, cosa pressoché impossibile in ogni caso. I
lettori saranno i primi ad accorgersi dell'assenza di qualche
vocabolo e a farlo notare all'autore.
Ho
dovuto dunque fare una scelta. Ho eliminato tante parole comuni che
terminano in
lai come
acqua, pasta, pianta, busta
ecc. perché si scrivono come in italiano conservando lo stesso
significato. Ho scartato anche parole comuni terminanti in
consonante perché molto somiglianti alle corrispettive italiane,
come per
(pero), mei
(melo),
fucil (fucile),
ignorant
(ignorante). Tuttavia i vocaboli raccolti dovrebbero essere circa
800 (ma non li ho contati). I vocaboli provengono da due grossi miei
quaderni dove ho annotato le parole che ho ritenuto più importanti a
partire dall'anno 1980 per circa 10 anni. Per una buona guida nel
lavoro mi sono servito di altri due vocabolari, il primo di mons.
Agostino Aurati "Vocabolario dialettale del contado urbinate",
curato impeccabilmente dal prof. Sanzio Balducci e pubblicato
dall'Accademia Raffaello di Urbino nell'anno 1983; l'altro "Da pai
in frasch-Inventario del dialetto urbinate" che si è avvalso della
collaborazione degli alunni della Sezione di Arte della Stampa
dell'Istituto statale d'arte di Urbino, con la guida del prof. Alfio
Bostrenghi, nell'anno 1984.
E
veniamo al mio lavoro. Come già detto, il mio è un vocabolario
comparato del dialetto di Urbino e immediati dintorni con la lingua
italiana. Non potevo fare altrimenti poiché il dialetto che conosco
è quello di Urbino città, che mi ha accompagnato dai primi anni di
vita. É noto che il dialetto della città ha, tra i tanti altri del
vasto territorio del Comune, una connotazione particolare, cioè di
essere il più vicino alla lingua italiana. Questo vuol dire, come
afferma il prof. Sanzio Balducci, che l'italianizzazione del
dialetto in città è più accentuata, non solo rispetto ai paesi e
frazioni del Comune, ma anche rispetto ad altre città vicine della
nostra provincia. E tutto ciò sembra dipendere, in modo quasi
esclusivo, dalla presenza dell'Università e delle tante altre scuole
secondarie superiori, con migliaia tra professori e studenti.
Il vocabolario presenta due novità: la prima
consiste nel collegamento fra il lessico e le tradizioni che fanno
parte della storia della città negli ultimi ottanta anni,
collegamento stabilito ed evidenziato principalmente attraverso una
frase tipica posta a titolo delle sezioni corrispondenti alle
singole lettere dell'alfabeto (per esempio
entrè a bughetta
come titolo della sezione relativa alla lettera b).
La seconda novità consiste
nell'evidenziare i vocaboli oggi decaduti o scomparsi attraverso la
corrispondente indicazione "arc." = "arcaismo". Va considerato
tuttavia che la scomparsa di un vocabolo non può essere considerata
mai definitiva, in quanto esso riaffiora spesso nell'uso di singoli
individui o di intere famiglie.
A
proposito del nesso che ho stabilito fra le parole e gli usi e le
abitudini di un tempo, esso si è fatto via via più intenso e
pressante nella seconda parte del vocabolario, giù giù fino alla
fine dell'elenco. Come dire che la storia della mia città mi ha
preso la mano, dai giochi dei ragazzi a quelli degli adulti, dai
mestieri di un tempo a qualche piatto caratteristico della cucina
nostrana e così via. Questo fatto mi ha reso contento. I vocabolari
rimangono spesso freddi ed aridi, mentre questo mio libro al quale
ho dato il titolo di "Parole nostre" mi sembra avere un po' di
quella freschezza che rende più stimolante la lettura. Inoltre mi
sembra che un libro che riporta e traduce il linguaggio di una città
debba necessariamente includere in qualche modo la vita individuale
e sociale dei suoi abitanti ed illustrare quindi, nel nostro caso,
come si viveva e si operava in Urbino nel secolo appena trascorso.
Anche qui dunque, nell'ambito del dialetto, bisogna sostare per
capire meglio i nostri padri e noi stessi, che in quel secolo
abbiamo le radici.
Non
poteva infine mancare un rispettoso omaggio ai grandi personaggi
urbinati (il nostro papa, il nostro duca, il grande Raffaello)
richiamati alla memoria della nostra comunità con appellativi
familiari.
Alfredo
Zampolini
|
A
Dai
n'arciaplata
àbis
(arc.) |
s.m. |
Lapis o matita |
abocat |
agg. |
Abboccato, che
dà buongusto in bocca. Si dice del vino quando è
gradevole o dolce. |
acinin |
s.m. |
Acinino.
Piccolo frutto come un chicco di grano o un chicco
d'uva. |
acsé |
avv. |
Così.
Fa acsé (o d'acsé). |
aquatic |
s.m. |
Brodo. Si dice
di un brodo o di un sugo allungato. |
alappa |
vb. |
Voce del verbo
allegarc. Si dice di frutta, come sorbe o
cachi ancora immaturi, che danno fastidio ai denti. |
ansc
(arc.) |
s.m. |
Respiro
affannoso, come quello dell'uomo morente.
Ha fatt i
ultim anse. |
ara |
s.f. |
Aia. Spianata
davanti le case di campagna dove si trebbiava il grano. |
arabit |
agg. |
Uomo
arrabbiato, infuriato. Smodato nel perseguire un suo
progetto. |
arbaltichè |
vb. |
Rovesciarc.
Sa chel birucin è fat un gran arbalticón. |
arcapsè |
vb. |
Raccapezzare, mettere insieme.
Chel burdel è trop pcin, en arcapessa nient. |
arciaplè |
vb. |
Aggiustare,
accomodare alla meglio.
Ma eie searp
dai n 'areiaplata. |
arcòia |
vb. |
Raccogliere. |
arcuncè |
vb. |
Rammendarc. |
(Segue altra due cartella) |
B
Entrè a
bughetta
bacilè |
vb. |
Vacillarc. Si
usa al negativo ma in senso figurato, essere incerto,
titubante. /'
en badi tant per dat un schiafon. |
badurlin |
s.m. |
Giocattolo o
altro oggetto con il quale un bambino si trastulla. V.
ginglin. |
bagajón |
agg. |
Chiacchierone
in senso dispregiativo per un adulto, scherzoso per un
piccolo. |
bagiana |
s.f. |
Un piatto
nostrano formato da fave fresche e bietole. |
bagiot |
agg. |
Baccello
maturo ma tenero. I fagioli
bagiotti
sono preferiti in cucina agli altri fagioli. In senso
figurato
bagiot
indica una persona non più giovane. |
bagnaròla |
s.f. |
Mastello dove
i bambini facevano il bagno. |
baiòcch |
s.m. |
Antica moneta
in uso negli Stati pontifici e quindi anche in Urbino.
Al plurale significa avere molti soldi.
Quel c 'ha i
baiòcch. |
balusch |
agg. |
Chi ha il
difetto dello strabismo. |
bandés |
agg. |
Largo,
abbondante in riferimento agli abiti, cappello e
coperta. |
barbacan
(arc.) |
s.m. |
Asse di legno
infisso sul muro per appendere indumenti come giacche e
cappelli. |
barburana |
s.f. |
Vento freddo
del nord che porta neve e ghiaccio. |
barbuss |
s.m. |
Mento. |
barca |
s.f. |
1
Imbarcazione. 2 Ammasso sull'aia di covoni di grano per
la trebbiatura. |
(Seguono altre quattro cartelle)
|
C
Cantaròla cantaròla
prend el libre e va a la scòla
cacianas |
agg. |
Ficcanaso.
Se un gran cacianas e non se tiena gnent de quel ch 'se
dic. |
caf |
agg. |
Dispari,
sparigliato. Si dice di una coppia di oggetti o di
animali dei quali uno è mancante.
Pcion caf. Scarpa caffa. |
cagnaròl |
s.m. |
Attaccabrighe. |
caldaccia |
s.f. |
Afa. |
caldés |
agg. |
Luogo esposto
al sole. Si diceva che la legna del
caldés
non facesse
buona brace, mentre quella del
verni
producesse un
fuoco ardente. |
cals |
s.f.pi. |
Calzoni. Il
popolino chiamava i calzoni che in dialetto sono al
femminile,
le cals.
L'urbinate diceva di sé scherzando:
Cach tle cals e po' le lav. |
campè |
vb. |
Campare, vivere.
Camperò cent'an! Tira a campè! |
canabuc |
s.m. |
Gambo secco
del granturco privato della pannocchia. |
canapè |
s.m. |
Divanetto
imbottito. |
canic |
s.m.pl. |
Canne. Fasci
di canne sottili ingessate che si usavano per fare i
soffitti delle stanze. |
cànip |
s.m. |
Canapo. Grossa
corda per sostenere carichi pesanti. Una corda ancora
più robusta era
el capson.
In città il cordaio
lavorava al Mercatale. |
cantaròla |
s.f. |
Coccinella. I
bambini di un tempo prendevano la
cantaròla
e la rilanciavano in aria cantando:
Cantaròla cantaròla prend el libre
è va
a la scòla. |
(Seguono altre sei cartelle)
|
D
La
pscicca del distrut
dafne |
s.m. |
Piantina
erbacea commestibile che cresce nei boschi. |
dan |
s.m. |
Danno. Il
sostantivo viene anche usato nel significato di
"perdere".
La bot fa dan. |
dastmòd
o asmòd |
avv. |
In questo modo.
La cicerchiata va fatta dastmòd. |
di' |
vb. |
Dire.
Cosa c 'è da di '? |
dians
(arc.) |
avv. |
Prima.
Ma quel ch' cerchi l'ho vist dians. |
dindi |
s.m.pl. |
Nella parlata
dei bambini i
dindi
erano i soldi.
Marna, i
de i dindi per el glat? |
dindola
o castagna dindola |
s.f.
|
Frutto del
castagno d'India o ippocastano, albero dalle grosse
chiome. Il Monte e il Pincio, in Urbino, hanno secolari
ippocastani. |
dingola |
s.f. |
Altalena con
una corda legata a due alberi (dal verbo dindolare). |
discorra |
vb. |
Parlare alla
lunga, trovare modo di ridire.
Hè fnit de discorra tant? |
disgustós |
agg. |
Antipatico. |
dispèss |
avv. |
Frequentemente, spesso. |
distrut |
s.m. |
Strutto.
La pscicca del distrut
(la vescica del maiale contenente lo strutto). |
dlà |
avv. |
Di là. |
dòrmia |
s.f. |
Anestesia.
Per l'operasión el dutór i ha dat la dòrmia. |
(Seguono altra cartella) |
E
Essa
còt de clia
ècch |
avv. |
Ecco. |
èccle |
avv. più
pron. |
Eccolo. |
èccme |
avv. più
pron. |
Eccomi. |
embè |
avv. |
Purtroppo.
Embè, en c 'è da fe piò gnent. |
embè |
cong. |
Ebbene.
Embè, se po sape sa vo '? |
en |
particella
neg. |
Non.
En me piac! |
enn |
vb. |
Sono. Voce
del verbo essere.
Quant enn chi burdei! |
erbétta |
s.f. |
Prezzemolo. |
èssa |
vb. |
Verbo
essere, infinito presente.
Essa còt de clia. |
|
F
So'
d'Urbin e fac el brav
fagòt |
s.m. |
Fagotto.
Involto, pacco di roba fatto alla meglio. In senso
figurato persona sciocca.
El vedi quant se fagòt! |
faicó |
nome
proprio |
Grido di
incitamento del contadino al bue di destra, Faicó,
che fa coppia con l'altro chiamato
Namuré. Faicó
e
Namuré
sono nomi affettivi che il contadino, per
tradizione, dava ai due animali. |
falcnara |
s.f. |
Falce
fienaia, attrezzo dalla lunga lama che serviva per
le fienagioni. |
farabulan |
s.m. |
Farabolone.
Persona inaffidabile che ha il vizio di imbrogliarc. |
fascina |
s.f. |
Fastello
di legna da ardere. |
fatighè |
vb. |
Lavorare con fatica.
Chi è svelt a magné, è svelt a fatighè! |
fatoransa |
s.f. |
Vecchia
professione al tempo della mezzadria. Il fattore
dirigeva e controllava il lavoro del mezzadro per
conto del padrone. |
fatura |
s.f. |
Malocchio. |
fatut |
s.m. |
Uomo
esperto ma smargiasso. |
Fedrich |
nome
proprio. |
Federico.
E un nome
molto conosciuto dagli urbinati perché ricorda loro
Federico da Montefeltro (1422-82), duca di Urbino.
Grande condottiero e insieme finissimo umanista,
costruì in Urbino, per sua residenza, un grande
palazzo arricchendolo di grandi opere
architettoniche, di
pregevoli pitture e bassorilievi, di magnifici
intarsi e di una biblioteca tra le più preziose
d'Italia. Si dice che durante il suo regno (1944-82)
nessun povero della città andasse per elemosina. |
(Seguono altre due
cartelle)
|