Visita di URBINO guidata ed illustrata da Luciano Ceccarelli |
Sintesi storica
di Luciano Ceccarelli
Le origini di Urbino sono così antiche da procedere a stento nel buio indistinto della preistoria, cosicché nulla di preciso si conosce intorno ai suoi primi abitanti, quelli, per intenderci, anteriori alle invasioni celtiche e all’insediamento dei Galli Senoni ( IV sec. a. C. -. Tuttavia, recenti ritrovamenti di materiale archeologico (frammenti di ceramica risalenti all'età del ferro- confermano la presenza di un abitato risalente a quell’epoca.
Comunque, verso il VI secolo a. C., i Romani sottomisero i Galli Senoni e rapidamente conquistarono tutto il vasto territorio della odierna Regione Marche. Da quel tempo inizia la storia documentata di Urbino romana, denominata Urvinum Mataurense, il cui nome sembra derivare dal latino urvum, che indicava il manico ricurvo dell’aratro. Il nome prescelto dall’attrezzo agricolo indicava la conformazione naturale del terreno sul quale sorgeva la città. La seconda parte del nome evoca il fiume Mataurus ( Metauro - sulla vallata del quale l’antico insediamento gravitava, distinguendolo in tal modo da Urvinum Hortense, una città romana dell’Umbria.
Dopo la battaglia di Sentino contro i Piceni del 295 a.C., la presenza romana nel territorio oggi marchigiano si fece piuttosto consistente e significativa; conseguentemente Urbino divenne un centro di notevole importanza perché era assurta al rango di capoluogo di un distretto montano strategicamente abbastanza rilevante perché ritenuto un percorso di collegamento regionale alternativo alla via Flaminia, la celebre via consolare fatta costruire dal console Flaminio intorno al 220 a.C., che ancora oggi collega Roma con Rimini, passando attraverso la Gola del Furlo prima di raggiungere Fano, la romana Fanum Fortunae.
Nel Medio Evo, due sono gli eventi che portarono alla formazione dello Stato di Urbino:
1 - il ritorno della famiglia dei Montefeltro al governo della città nel 1375;
2 - l'annessione di Gubbio e del suo territorio nel 1384.
In aggiunta a Gubbio, lo Stato di Urbino comprendeva anche Cagli e la subregione
del Montefeltro, costituendo in tal modo una ragguardevole stabilità politica di
equilibrio al confine tra le Marche e la tumultuosa Romagna, zone sconvolte
troppo spesso da sanguinosi scontri tra le forze guelfe e ghibelline. La
funzione di cuscinetto del nuovo Stato urbinate fece sì che si mitigassero
almeno i vecchi contrasti, se proprio non fosse stato possibile sedare del tutto
le antiche faide, per poter impostare dei rapporti politici nuovi, che alla
lunga sarebbero riusciti finalmente a procurare la desiderata sicurezza a tutti
i territori interessati.
Nel 1390 il Papa Bonifacio IX nominò il conte Antonio di Montefeltro
vicario apostolico in temporalibus di tutte le terre a lui sottomesse.
Inoltre la Santa Sede, per limitare i tentativi di espansione dei Malatesti di
Rimini, assegnò al conte Antonio anche i castelli di Corinaldo e Mondolfo fino
ad allora governati da Galeotto Malatesta in qualità di vicario del Papa.
Lo Stato di Urbino si sviluppava ormai su una superficie di circa 2000 Kmq,
estendendosi anche in una porzione di territorio umbro di là della catena degli
Appennini.
Il successore del conte Antonio, Guidantonio, che governò dal 1404 al 1443, fortificò il suo Stato procurandogli notevoli protettori, il più importante dei quali fu il papa Martino V (Colonna-, del quale sposò la nipote, ed emanò numerose leggi in materia civile, amministrativa, penale e fiscale. Gli successe il giovane figlio legittimo Oddantonio, che regnò pochi mesi (la sua morte avvenne in tragiche circostanze nel 1444-, lasciando la signorìa al fratellastro Federico (figlio maggiore, ma naturale di Guidantonio-, che fu proclamato Signore dopo aver giurato e firmato una convenzione con i cittadini. Gli Urbinati gli chiesero la grazia per i condannati dei danni dati, il diritto di riscuotere le entrate dell'ufficio della custodia, il riconoscimento dell’amministrazione comunale con entrate fiscali indipendenti da quelle del Signore, i cui poteri dovevano limitarsi a legiferare, alla nomina del Podestà e degli ufficiali dell'esercito, al controllo militare dello Stato e alla riscossione dell'imposta diretta più importante.
Nella seconda metà del XV secolo un nuovo grande fabbricato
(il futuro Palazzo Ducale- commissionato da Federico inglobava tutti gli edifici
e le strutture preesistenti nelle quadre (quartieri- di Porta Nuova e del
Vescovado, situate a ovest dell'asse longitudinale della città.
Durante la sovranità di Federico (1444-1482- lo Stato di Urbino assunse una
funzione significativa non solo all'interno dei domìni ecclesiastici, ma andò
ad occupare una posizione centrale anche nell'assetto politico degli altri Stati
italiani, contribuendo a garantire la Pace stabilita a Lodi nel 1454,
soprattutto per merito di Federico di Montefeltro, che seppe intrecciare utili
rapporti di alleanza con il re di Napoli, con il Papa, con il Ducato di Milano
ormai sotto il governo degli Sforza, tanto che proprio Federico fu nominato
Capitano Generale della Lega Italica.
Anche fuori d'Italia Federico di Montefeltro era conosciuto
come uomo di retta coscienza ed apprezzato come leale uomo d’arme, più incline a
favorire la diplomatica ricerca di motivi di pace piuttosto che propenso alle
dure ragioni della guerra. Per tale sua magnanima disposizione, egli fu
insignito delle più alte onorificenze del suo tempo, come l'Ordine della
Giarrettiera conferitogli da Edoardo IV re d'Inghilterra; l’Ordine
dell'Ermellino, concessogli da Ferdinando d'Aragona re di Napoli e nel 1474 gli
fu conferito l’ambito titolo di Duca dal papa Sisto IV (Della Rovere-, che lo
nominò anche Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa, titolo corrispondente a quello
di Comandante Supremo delle Milizie Pontificie.
Con i proventi delle condotte militari Federico perfezionò la dotazione
militare e civile del suo Stato; ospitò alla sua corte i migliori talenti
letterari, artistici e scientifici dell’epoca e commissionò l’erezione del suo
magnifico palazzo dapprima al dalmata Luciano Laurana (scomparso a Pesaro nel
1479-, affidandone poi la conclusione al senese Francesco di Giorgio Martini, al
quale commise anche l’edificazione di molti altri edifici militari, civili e
religiosi in tutto il territorio del Ducato.
Dopo la morte di Federico, avvenuta nel 1482, la Signorìa
urbinate fu ereditata dal figlio Guidubaldo I, che resse lo Stato con il
consiglio della coltissima moglie Elisabetta Gonzaga, cognata della raffinata
Isabella d’Este, la celeberrima “marchesana” di Mantova.
Gli anni di Guidubaldo e di Elisabetta furono i più radiosi della civiltà
rinascimentale italiana tanto che alla loro corte si radunavano i più rinomati
personaggi dell’epoca, fra i quali si ricorda Baldassar Castiglione, Ludovico di
Canossa, Federico ed Ottaviano Fregoso, il futuro cardinale Bernardo Dovizi da
Bibbiena, Giuliano de’ Medici e il futuro cardinale Pietro Bembo, finissimo
letterato attivo anche alla corte estense di Ferrara, il quale fu il sommo
teorico del gusto classico rinascimentale e diffusore del petrarchismo, modello
della lirica europea.
Alla corte di Guidubaldo di Montefeltro e di Elisabetta Gonzaga furono ospitati i Medici esuli da Firenze, i fratelli Fregoso espatriati da Genova e il Bibbiena, autore della Calandria, la prima opera teatrale in lingua “volgare” rappresentata a Urbino a cura di Baldassar Castiglione, che in tal modo inaugurò il teatro moderno italiano.
Pure alla corte di Guidubaldo ed Elisabetta si tenevano i famosi
cenacoli letterari allietati da giuochie argomentazioni cortesi, rievocati da
Baldassar Castiglione nel suo libro Il Cortegiano, il famoso trattato di
“buone maniere” pubblicato nel 1528 e in seguito utilizzato nell’educazione dei
gentiluomini di tutta Europa, ma abbozzato nel 1507, perché vi si narra il
resoconto di ragionamenti tenutisi nella Sala delle Veglie
dell’appartamento della Duchessa nel Palazzo Ducale di Urbino durante quattro
serate del marzo 1507.
In quello stesso periodo (1502- fu istituito quel Collegio dei Dottori,
riconosciuto da papa Giulio II nel 1506, da cui avrà origine l’odierna
Università degli Studi di Urbino. Un altro istituto creato dal Duca Guidubaldo
nel 1507 fu la Cappella Musicale del SS. Sacramento, la cui fondazione attesta
la squisita sensibilità musicale coltivata nella Corte urbinate.
In quel clima culturale, andò maturando il talento artistico del conterraneo
Bramante, rinnovatore dell’architettura italiana, e si rivelò il genio sublime
di Raffaello (nato a Urbino nel 1483-, il quale nel 1504 da Urbino, con una
lettera di raccomandazione di Giovanna Feltria Della Rovere (la figlia del duca
Federico e sposa di Giovanni della Rovere, nipote di Sisto IV e fratello del
futuro Giulio II- moveva verso le mète più eccelse dell’arte, prima a Firenze e
poi a Roma, chiamatovi proprio da papa Giulio a dipingere le stanze e le logge
vaticane.
Superata l’invasione di Cesare Borgia, a quei tempi si presentò a Urbino il
problema della successione nella sovranità del Ducato. Guidubaldo non aveva
avuto eredi, così nel 1504 fu accolto a corte il quattordicenne Francesco Maria
della Rovere, figlio di Giovanna, sorella di Guidubaldo e moglie di Giovanni
Della Rovere. Annuente il Papa, il giovinetto fu adottato dagli zii e.alla morte
di Guidubaldo I di Montefeltro, avvenuta nel 1508, il Ducato fu ereditato da
Francesco Maria, che inaugurò la seconda dinastia ducale dei Della Rovere.
Sposato con Eleonora Gonzaga, nipote della zia Elisabetta, Francesco Maria I
della Rovere, pur protetto dallo zio papa Giulio II, trascorse anni assai
burrascosi specialmente sotto il successore dello zio, papa Leone X (1513-, che
aveva nominato Duca d’Urbino il proprio nipote Lorenzino de’ Medici.
Morto il papa Medici (1521-, ed eletto pontefice Adriano VI (1522-, Francesco
Maria ritornò
in Urbino, dove fece consolidare la cinta delle mura urbiche, che ancora oggi si
ammirano.
Successore di Francesco Maria I della Rovere fu il figlio
Guidubaldo II, che sedette sul trono ducale per circa 40 anni in un periodo
di insolita tranquillità, dovuta soprattutto all'equilibrio della politica
europea instauratosi sotto l’egemonia spagnola.
Il Ducato urbinate, in questo lungo arco di tempo, grazie a un saggio governo,
godette di prosperità economica, di fama e di onori, tanto che a Guidubaldo II
non solo furono riconfermate tutte le onorificenze dei suoi predecessori, ma
ricevette anche altissime cariche come quelle di
Generale della Repubblica Veneta, Prefetto di Roma (1555- e Generale del Regno
di Napoli (1558-.
Tra i fatti più rilevanti, dopo il primo poco felice matrimonio con Giulia
Varano (ultima discendente dei Signori di Camerino-, si ricorda il secondo
faustissimo matrimonio del Duca con Vittoria Farnese, nipote di papa Paolo III.
Insieme dettero avvio ad una splendida corte di stanza specialmente nel palazzo
ducale di Pesaro o nelle delizie del contado pesarese, come la Villa
dell’Imperiale, ove si dette avvio a un grande impulso culturale per merito di
ospiti straordinari come Bernardo Tasso e suo figlio Torquato.
Intensa in tutto il Ducato fu l'attività artigianale non solo di tipo artistico
come la produzione delle celebri ceramiche di Casteldurante (l’odierna Urbania-,
di Urbino e di Pesaro, ma anche di tipo scientifico come la realizzazione di
orologi, di compassi, di strumenti matematici di precisione.
In quel periodo a Urbino operava Federico Barocci, il più celebre pittore del
Seicento, sotto l’alta protezione del cardinale Giulio, fratello del Duca, che
commissionò all’artista numerose opere e che chiese al Papa di elevare la sede
vescovile urbinate ad arcivescovato col titolo di sede metropolitana, dignità
purtroppo recentemente perduta (2000- a favore di Pesaro.
Anche le attività musicali e teatrali ebbero una parte importante nella vita
della Corte, tanto che si può ritenere nato a Urbino anche il melodramma
italiano con la rappresentazione dell’Aminta di Torquato Tasso,
rallegrata da intermezzi musicali.
A Guidubaldo II succedette il figlio Francesco Maria II della Rovere, il quale, come conveniva al futuro sovrano di un piccolo Stato “satellite”, si era formato alla corte di Spagna di Filippo II d’Asburgo, figlio dell’Imperatore Carlo V, sui cui domìni non tramontava mai il sole.
Purtroppo, Francesco Maria II fu il sesto ed ultimo Duca sovrano di Urbino, perché il figlio Federico Ubaldo morì prima di lui, lasciando una figlioletta, la principessina Vittoria della Rovere, che sarà data in sposa al cugino, il futuro Granduca di Toscana Ferdinando II de’ Medici.
Alla morte del duca Francesco Maria II, avvenuta nel 1631, il Ducato di Urbino cessò di esistere, ritornando per devoluzione in seno ai domìni della Chiesa sotto il pontificato di papa Urbano VIII (Barberini-, che affidò l’ex-Stato urbinate al governo di un Cardinal Legato.
Naturalmente tale avvenimento causò una lenta e inevitabile decadenza delle città ducali e di tutto il territorio dell’antico Ducato. Difatti, il trattato di devoluzione prevedeva che soltanto gli immobili entrassero nell’amministrazione della Camera Apostolica, mentre gli arredi dei palazzi ducali di Urbino, Pesaro, Gubbio, Fossombrone, Senigallia ecc. dovevano essere trasferiti a Firenze perché proprietà di Vittoria della Rovere, che ereditò anche le ricche collezioni d’arte di quadri, arazzi, oreficerie e argenterie, tutte traslocate nella capitale del Granducato di Toscana.
Un avvenimento del tutto inusitato si verificò nel 1700 con l’elezione al soglio pontificio del cardinale urbinate Giovan Francesco Albani, che assunse il nome di Clemente XI ( 1700 – 1721-.
Diventata la patria del Romano Pontefice regnante, Urbino visse una specie di secondo Rinascimento con i generosi interventi compiuti dapprima dal Cardinal Nepote Annibale e poi da suo fratello, il cardinale Alessandro, finissimo “antiquario”, protettore e amico del Winckelmann, l’inventore della storia dell’arte.
A quegli anni risalgono le realizzazioni di numerosi interventi edificatori nei complessi conventuali e nelle chiese di San Francesco e San Domenico; in piazza fu edificato il Palazzo del Collegio poi denominato “Raffaello”; inoltre, furono restaurati numerosi edifici pubblici a cominciare dalla Residenza Municipale, cosicché anche le famiglie patrizie furono sollecitate ad operare interventi di restauro nelle loro abitazioni. Nel frattempo la città godette nuovamente della presenza di numerosi artisti come Carlo Fontana, Alessandro Specchi, Filippo Barigioni, il giovane Luigi Vanvitelli, Alessio De Marchis e molti altri. Anche l’economia ricevette dal Cardinal Nepote nuovi impulsi con la fondazione della celebre tipografia della Cappella Musicale del SS. Sacramento, proprietaria di una cartiera a Fermignano, e con l’istituzione di uno dei primi stabilimenti industriali italiani per la fabbricazione di spille. Né il munifico cardinale Annibale dimenticò di potenziare la cultura, istituendo a proprie spese la Cattedra di Greco nell’Università degli Studi.
L’equilibrio della vita urbinate cominciò a turbarsi dopo che nel maggio 1796
papa Pio VI dovette accettare l’armistizio con Napoleone.
Le vicende legate alle imprese napoleoniche in Italia comportarono per Urbino non solo la soppressione di conventi, chiese e istituzioni religiose, ma anche un ennesimo depauperamento del patrimonio artistico con la distruzione di alcune opere (numerose sculture di bronzo vennero fuse per scopi militari- e soprattutto con la deportazione a Milano dei pochi capolavori rimasti. Per tutte le opere perdute si ricorda soltanto la famosa Madonna con Bambino, Santi e il duca Federico inginocchiato, capolavoro di Piero della Francesca, oggi nota come “Pala di Brera” perché fortunatamente il dipinto non varcò le Alpi, ma restò depositato in quel museo.
Alla caduta di Napoleone, il popolo di Urbino si ribellò ai
Francesi, che evacuarono le terre dell'antico Ducato, dove fu restaurato il
governo pontificio. In seguito, proclamata la Repubblica Romana, anche Urbino ne
seguì le sorti, così ben presto si diffusero le idee democratiche risorgimentali
nella città. Nel 1831 la città di
Urbino partecipò ad un'insurrezione che coinvolse gran parte dello Stato
Pontificio. Ciò avvenne ad un anno di distanza dalla “Rivoluzione di Luglio”
a Parigi e a pochi giorni dal tentativo di insurrezione organizzato da Ciro
Menotti nel modenese. Gli insorti diedero vita al “Governo Provvisorio delle
Provincie Unite Italiane ” con sede a Bologna, a cui aderirono anche i
territori delle ex-legazioni pontificie della Romagna e delle Marche, ove furono
innalzate ovunque le bandiere tricolori.
Nel 1860 le truppe piemontesi del
generale Cialdini occuparono Urbino e due giorni
dopo furono
organizzate le votazioni plebiscitarie per scegliere l’annessione al Regno dei
Savoia. Nel 1861, per decisioni politiche piuttosto arbitrarie e calcoli
puramente campanilistici, la provincia montana di Urbino venne unita a quella
marittima di Pesaro, causando in tal modo gravi disagi, molestissimi incomodi e
sofferenze d’ogni genere a tutto il Montefeltro, subregione nobilissima
costantemente dimenticata dai governi centrali e dalle amministrazioni
periferiche, le cui Comunità, sebbene attualmente manifestino un ripudio
arbitrario e discutibile della loro storia, a ragione oggi chiedono a gran voce
l’inserimento in una provincia che s’impegni al loro sviluppo economico.
Terminato il ventennio fascista, nel 1944 i tedeschi occuparono Urbino e minarono le antiche mura roveresche fortunatamente senza causare gravi danneggiamenti; l’incubo nazista si dileguò il 28 agosto di quello stesso anno, allorché la città ducale fu liberata dalla IIIª Compagnia Indiana dell'VIIIª Armata Inglese.