INDICAZIONI PER LA TRASCRIZIONE

DEL DIALETTO URBINATE

      Queste norme sono discrezionali, non tassative. Si vedano le alternative proposte

Prof. Rolando Bacchielli e Michele Gianotti


PREMESSA

 

    Conviene precisare subito che ogni dialetto ha un proprio sistema fonologico che differisce, di poco o di molto, da quello dell'italiano. Proprio per questo ognuno di noi, dovendo scrivere in dialetto, si rende conto che le regole ortografiche dell'italiano mal si prestano alla rappresentazione dei suoni del nostro dialetto e il più spesso, in mancanza di una competenza specifica, si fa ricorso a criteri di trascrizione soggettivi, improvvisati, impressionistici e spesso inesatti e incoerenti. Fermo restando che i sistemi specialistici di trascrizione fonetica, riservati agli esperti e normalmente poco comprensibili ai profani, non rispondono alle esigenze del lettore comune, è opportuno sottolineare invece la necessità che ogni “comunità dialettale” elabori un proprio sistema al fine di rendere i testi dialettali accessibili alla maggior parte dei lettori, siano essi “locali” o “forestieri”.

    I principi generali che ispirano le presenti proposte sono i seguenti:

1.  quando il dialetto è molto vicino all'italiano conviene adottare i criteri dell'ortografia ufficiale italiana;

2.  quando il dialetto si discosta decisamente dall'italiano è utile e necessario evidenziare il più possibile le caratteristiche fonetiche e strutturali che il dialetto assume per farne cogliere l'esatta fisionomia ed individualità;

3.  i criteri di trascrizione, tuttavia, se da un lato devono essere semplificati per rendere l'interpretazione e la lettura dei testi il più possibile agevoli ai non specialisti, dall'altro devono però salvaguardare una rigorosa riproduzione dei suoni caratterizzanti del dialetto.

 

CASISTICA

 

    Per evitare l'uso di segni grafici non presenti nella normale pratica ortografica e ortofonica della lingua scritta conviene adottare la lettera “j” per evidenziare il suono della / j / semiconsonantica (i schiacciata contro il palato) frequente nell'urbinate in fine di parola: occhj, vecchj, sprocchj, b'docchj;

    La distinzione tra accento acuto (´) e accento grave (`) deve essere adottata solo relativamente alle vocali e ed o per sottolineare l'opposizione tra / é / chiusa ed / è / aperta e / ó / chiusa ed / ò / aperta, opposizione che è molto spesso discriminante nell'urbinate, ed anche per evitare equivoci con gli omografi: l'è méss / le mèss; só = su / so = io so / so' = io sono, pó = poi / pò = può / po' = poco.  Per le altre vocali l'accento acuto o grave non ha valore fonetico e indica solo la sillaba sulla quale cade l'accento.

    La distinzione tra il valore dolce (palatale) e duro (velare) delle lettere finali “c” e “g” può ispirarsi ai seguenti criteri di trascrizione:

-c /-cc e –g /-gg (valore dolce) come in: pac (= pace), facc (= faccio), preg (= pregio), legg (= legge; = egli legge);

-ch /-cch e –gh /-ggh (valore duro) come in: lumach, pacch, pregh, leggh.

Il valore dolce di queste lettere in corpo di parola può invece essere indicato da un apostrofo: c'vetta, arcminc'ne, g'lat, G'vann.

    Anche l'apostrofo può essere usato con valore discriminante e per agevolare la scansione e l'interpretazione corretta dell'espressione: 'ste = queste / stè = stare; sa 'l = con il sale; sal = sale; ma 'l = al; mal = male;  t' el o te 'l, t' la, t' le, t' i = nel, nella, nelle, nei;  t' un = in un, t' na = in una; senza apostrofo come tun casa, perché tun in questo caso non contiene due elementi, ma sta per la preposizione semplice in. 

    Gli infiniti dei verbi di prima e terza coniugazione sono sempre tronchi nel dialetto urbinate (parlè, fè,'nì, f'nì, ecc., mentre nella seconda abbiamo tiéna, lèggia, èssa), ma invece di usare l'apostrofo come segno di troncamento, come sarebbe giusto fare,  si suggerisce di usare gli accenti grave e acuto per poter distinguere gli infiniti che terminano in –è (aperta), e che sono la maggior parte, da quelli che terminano in –é (chiusa): avé, poté, v'lé, dové, sapé. A proposito di infiniti vale la pena notare anche che fra i parlanti della vecchia generazione persiste ancora l'infinito in –à per la prima coniugazione: cantà, andà, magnà che è ormai arcaico.

     Il dialetto urbinate, come molti altri dialetti e lingue, contiene un numero notevole di omografi e omonimi (omonimìa), cioè parole uguali o quasi uguali nell'ortografia e/o nella pronuncia. Per facilitare la loro trascrizione in modo da risolvere le possibili ambiguità diamo qui di seguito degli schemi comparativi che propongono soluzioni discriminatorie. L'accento circonflesso (^) può essere usato per indicare la contrazione di un dittongo, di altri gruppi di suoni o una vocale lunga.

   Per quanto riguarda le consonanti doppie si tenga presente che qualcuno le rappresenta con una doppia e altri con una semplice, sia in posizione finale che in corpo di parola. Tale esitazione nella trascrizione delle doppie si spiega col fatto che nel nostro dialetto in realtà esse valgono una consonante e mezza e la loro durata può variare a seconda che la vocale che la vocale che le precede sia breve o lunga, molto spesso come in italiano: la nòt (o lunga) / le nòtt (o breve), la péc / le pècc (plurale di peccia).

 

Nelle aree del più alto Metauro si elimina più frequentemente le doppie, portando ad una fonia più cantilenante: ho magnet i boconoti sa i pistacop: ho mangiato i bocconotti (maccheroncini) con i pistacoppi (piccioni) 

Per i dialetti limitrofi dell'area urbinate si possono presentare problemi particolari che affronteremo successivamente.

 

 Il dialetto urbinate, come molti altri dialetti e lingue, contiene un numero notevole di omografi e omonimi (omonimìa), cioè parole uguali o quasi uguali nell'ortografia e/o nella pronuncia. Per facilitare la loro trascrizione in modo da risolvere le possibili ambiguità diamo qui di seguito degli schemi comparativi che propongono soluzioni discriminatorie. L'accento circonflesso (^) può essere usato per indicare la contrazione di un dittongo, di altri gruppi di suoni o una vocale lunga:
 

 

́

         /

accento acuto su vocali e, o:  chiuse (meno/dono), méss di messo (pp di mettere), di su, di poi.  Raramente in alcuni infiniti e altre espressioni come: avé, poté, v'lé, dové, sapé ... maché, malé .. caldés, bandés, prés (preso)

̀

        \

accento grave  su vocali e, o: aperte (bello/cotto), di io so,  mèss di messe, pò di può.  Parlè, magnè e quasi tutti gli infiniti della prima coniug. perchè, affinchè

          ^

 per indicare la contrazione di un dittongo, di altri gruppi di suoni o una vocale lunga: ad esempio di "tu sai" o "tu sei".

antre/antra

atre / atri

altro (in: 'n antre) /altra

altro / altri

c / cc

valore dolce come in: pac: pace, facc: faccio, oppure:  c'vetta, arcminc'ne

c'a-/c'h-

c'he / c'ê

c'avev (pronuncia: ciavev); c'ho (pron. ciò); c'ha (pron. cià)

tu c'hai (pron. ciai)

ce

 ci

c'è

 c'è

ch / cch

valore duro come in: lumach, pacch

ch' sa

che cosa (ch'sa vo': che cosa vuoi)

c'he oppure c'ê

 c'hai

che'l/chel  o  q'el

ch'la/chla  o  q'la

calca  o q'alca

chî o q'i (vedi quei)

ch'le/chle  o q'le

quel, quello

quella

qualche (q'alca volta)

quelli (chî burdei)

quelle

chi

 chi relativo e interrogativo

ch'i / ch'j

 che gli (“Quel ch'j ho dett”)

chî

 quei - chî farabutt = quei farabutti

chló  o  q'ló

chlia  o  q'lìa

Quello

Quella

coón

cojon

d’ló / d'lìa

di lui / di lei

dacsé

così

del

del, dello  (del sio: dello zio)

di, de,  

di, del, dei -  preposizione (de mi' sio: del mio zio)

dire

di'

Tu dici

d'i o dî

degli, dei (fator dî fagiolett: fattore dei fagioletti)

dij

 digli, dille, di loro

d'là

di là

dla, dle

della delle

do

 io do

 due [ci sono anche le varianti du = due: “du sold”e du' = dove: “du' vê ?]

do'

 dove

du

 due: “du sold”

du'

 dove: “du' vê "

el / 'l/ lo /la

il / il / lo / la (articoli)

en

 non

èn (ènn)

 sono

éren

erano

èssa

essere

 fare

fem ??

 tu fai

fame  o  facciamo

he

hai (he fatt?: hai fatto?)

g / gg

 valore dolce come in: preg = pregio, legg = legge, oppure: g'lat, G'vann.

gh / ggh

valore duro come in:  pregh, leggh.

gió

giù

g'lat

gelato. Con e semimuta: gelat

gnicò o 'nicò

ogni cosa

i

 articolo determinativo maschile plurale

'i

gli, a lui, a lei, a loro ['i ho détt: gli ho detto]

i' / iè / j

io,  (iè: campagnolo)

j

per / j / semiconsonantica (i schiacciata contro il palato) occhj, vecchj, sprocchj, b'docchj; moglie: moj; doglie: doj; conigli: cunij

lèggia

leggere

ló / lia

lui / lei

mal

male

ma'l

al

més

mese

méss 

l'è méss, messo

mèss

 le messe

m'i

 me li (m'i han dati lor)

mi'

 mio, mia, miei, mie

mindó

mindù vè ?

da minda

da dove, donde

(dove vai ?)

(da do' vieni? - Da minda de sotta)

'nicò 'nico' o gnicò

ogni cosa

no

 no

nó  (no')

 noi, il suono di o chiusa è reso meglio da  nó

nòt nòtt

notte / notti

péc

 pece

pècc

 peccie (plurale di peccia).

p'el

 per il - me chiappi p'el cul = mi prendi per il sedere

pél

 pelo

pèl

il palo (uso campagnolo)

pés

 peso

pess

 pezzo, pezze; es.: da un bell pess; c'ha le pess tel cul = ha le pezze nel sedere

pió

più

 poi

 può, puoi

po'

 poco

p'r

per.  In: p'r aria; p'r i (per i)

prés

 preso

pres(s)

 presso, prezzo

prò / p'rò

però

q'el o che'l / chel 

q'la o  ch'la / chla

quei

q'i  o chî

q'le o ch'le / chle  q'alca o calca 

quel, quello

quella

quei malé: quelli lì

quelli (chî stracc)

quelle

qualche (q'alca volta)

quant

quanto, quando

ròt

ruote

sa

 con, egli sa

'sa o ch'sa

 cosa, che cosa

sa 'l

 con il

sal

 sale

se

 se, condizionale

 si, affermativo

 se stesso

 tu sai

se'

 tu sei

sém

 seme

sêm / sèm

 siamo

sét

 siete, la sete, le sete (omofonia )

set(t)

 sette

si'

 Zio  (tu sei, rustico)

sì o sî

 tu sei (variante rustica)

so

 io so

 su

so'

 io sono,

spéc

specie ( per distinguere da spec: specialmente)

spés

 le spese, ho speso

spès(s)

 spesso

stè

 stare

ste   o  'ste

sta   o  'sta

sti    o   'sti

 questo, queste (ste ragass ;  ste ragasse, st'imbecill)

 questa (sta marmitta)

 questi

t' un / t' na

in un / in una  (apostrofo obbligatorio: fusione di due particelle)

t'el  / t'la t'le / t'i

(o tel /  tla/  tle /  ti)

 nel, nella, nelle, nei,negli  (stanno per ta il, ta la, ta le, ta i)

(ammissibili, dato che in lingua derivano da una sola particella)

t'i ho fatti i' = te gli ho fatti io;  t'i armadi = negli armadi

tiéna

tenere

tó, tu

tu,variante rustica per te. Es. tó sa vua

 tieni, togli

tun

in, come "tun casa" preposizione semplice, in quanto non contiene due elementi

ucc'lin

uccilin

ùn

uno, come in: ecca ùn brav

ve

 vi

 vedi

 voi

vò o vô

 tu vuoi

voiatre

voialtri / voialtre

voj /  voja

 voglio / voglia (pó darsi ch'voja gì a casa: è probabile che voglia andare a casa)

vól

 volo

vol / vôl

 vuole.

vóta

 egli vota

vôta o vota

 vuota

zz

mezz: s sonora come in rosa. Non esiste nell'urbinate la z affricata, né dolce (zazzera), né aspra (tse-tse, pozzo)

 

 

La trascrizione del gruppo qu- nei dimostrativi e avverbi:……