GERMANA DUCA RUGGERI:
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angoli della terra |
Appunti su “Gli angoli della terra” di Germana Duca Ruggeri
di Anna Elisa De Gregorio (29/06/2009)
Quale posto più adatto per la lettura di un libro di poesia del vecchio scompartimento di un treno semivuoto: viaggio che predispone alla meditazione: il treno perfetta metafora del nostro tempo imperfetto, che non ha possibilità di andare in direzione inversa, ma che prevede un biglietto di ritorno, attraverso l’esercizio della ricordanza. Temi tutti primari ne Gli angoli della terra (Edizioni Joker, 2009, €11,00) che sto leggendo e rileggendo con sempre più profonde emozioni, mentre intravedo il familiare paesaggio marchigiano in corsa dai finestrini. Parlo del nuovissimo libro di poesie di Germana Duca, il suo quarto in ordine di tempo, dopo “distanzainstanza”, “Ex ore” e “Tessere” (quest’ultimo di racconti). Il paesaggio che ho davanti a me è lo stesso che ritrovo nei versi di Germana in un doppio movimento di visioni: il titolo stesso del libro suggerisce viaggio, pellegrinaggio, cambiamento. Dove la speranza è un “forse” che noi stessi ci dobbiamo dare:
Allora forse avremmotanto amore
quante sono le piante e i fiori …
... alla terra che ci inviterà
a gustare una notte forse
azzurra come il giorno
oppure il possibile futuro dei bambini:
Poi sul progetto misterioso
raccolto nel grembo della sposa
inizia lungamente/ a fantasticare l’anima.
Germana investe molto in questo possibile futuro, è desiderosa di volgersi al nuovo, di pregustarlo con l’occhio dei bambini, pur con tutta la maturità di chi è avvezzo alla tempesta, senza nulla dimenticare.
La silloge è divisa in due ante: “Materiali” e “Immateriali”, ma in realtà si fa fatica a dividere i testi di Germana Duca in due tipi di tessuto. I suoi versi camminano su un unico binario, che partendo da fatti (anche minimi) concreti e nominati tendono, in una logica di deviazione, a spiritualità e bellezza; anche la punteggiatura suggerisce un po’ questo andamento di poche separazioni (rimane solo la pausa lunga e importante del punto). Componimenti essenziali, densi che pure salgono verso l’alto della pagina con leggerezza, senza titolo come se il flusso della scrittura fosse in sintonia con il fluire del pensiero senza tempo, a illuminare i luoghi della terra al di qua e al di là dell’umano:
L’aquilone strappato alla matassa
creatura senza tregua/ volo quieto sulla collina
non è più possesso umano
solo specchio di porta. Memoria
divina tempo fuggito di mano
spago che moltiplica
lo spazio a dismisura.
Tempo e spazio l’uno nell’altro all’infinito nella ventosa Urbino, terra di aquiloni e ovunque nella scrittura di Germana Duca. Urbino città salvifica nella sua bellezza, come già nelle altre raccolte, metafora e terra di poesia, isola di pace quando intorno c’è guerra e morte:
Dalle cime
degli alberi dai viluppi
delle foglie lungo il viottolo
per ora solo cose buone e lievi.
Sugli schermi l’impeto dell’odio
gli scampati la città che fuma.
Dal gran mare del paesaggio in alto
sale senza fine la supplica alla pace.
Questi versi sono parte dell’ultima poesia del libro-poemetto: raccolgono il nodo più crudele del nostro vivere; intorno a noi, in tempo tanto reale quanto disumano, vediamo l’inferno, e la pace di Urbino, forse, crea ancora di più l’inaudito contrasto fra ciò che è e ciò che vorremmo; da qui la necessità di una supplica di salvezza possibile solo attraverso la pace.
Essenziale anche la copertina ruvida come canapa con il titolo scritto con il colore della terra, come suggerisce la stessa Germana. Terra che è ovunque nel libro, radice, che sento paterna, di pianta larga, contadina. Rispetto per il lavoro e per il tempo che si conta in stagioni. Amore per la natura nato dal contatto fisico dell’infanzia; mi piace ricordare le due poesie poste l’una all’inizio, l’altra alla fine della prima sezione, come confine di un giardino:
Era fresco il suo corpo quando lo avvolgeva la luce
del lago, sulla sponda a schiena nuda lei scriveva
sull’acqua ...
Come un amore che deve esplodere
brilla il sole risplende sul lago.
Si miete e intanto va una barchetta
di carta
e una terza centrale sempre alla prima sezione:
C’era come un riso
in quelle corse intorno al lago
e fra le labbra a primavera
fischietti di foglie di canna.
Le tre poesie incantate, lago di memoria, ci raccontano questo tipo di vero amore che darà ispirazione, che renderà possibile la scrittura :
Parola somigliante né a fiume
né a torrente ma a rivolo
di acqua piovana.
Il poemetto si dipana non in orizzontale, ma dietro il filo delle emozioni, che tende sempre alla circolarità (“Il pensiero dei poeti è circolare” dice Antonio Prete), ma lasciando sempre uno spazio, un vuoto alla fine del testo affinché l’anima possa sfuggire per non essere presa prigioniera, come è costume delle donne navajo quando finiscono di annodare i loro tappeti.
La natura, quella dove abbiamo vissuto, come in Zanzotto, è riferimento e rifugio, anche se la vita ci ha portato per il mondo, restituisce alla vita il suo significato più intimo. Voglio annotare le due o tre “gemme” di dialetto d’Ancona, che felicemente spuntano nel libro come stelle di madre, cuore profondo della lingua; ne scelgo una:
“Ormai ha preso campo la gramaccia.
Al Fornetto è rimasto uguale il cielo
solamente. E verso Ancona il mare”
dice. Poi inizia a ricordare
“Sulle ròle c’era tanta guazza…”.
In naturale necessità, alle nuove vite portatrici di gioia e ansia si susseguono le morti inevitabili, il tutto vissuto con consapevole gratitudine e altrettanto consapevole dolore in quanto parte del ciclo della vita (struggenti le poesie sul padre; fresche, con un tocco d’ironia, quelle dedicate ai bambini).
Ma non il sopruso insensato dell’uomo:
Contro i pezzi del mondo caduti
uno dopo l’altro come birilli
il rifiuto di crescere/ è rifugio possibile
follia senza nulla/ di spregevole.
Ovunque sale dall’animo ferito del poeta una sola voce:
Avere pace. Senza perché amare.
La speranza del poeta di rendere visibile il sussurro ardente del cuore. Dice Jabès in “Nella Poesia”: “Ogni libro di poesia è un libro di ragione.”…“Essa (la scrittura) vuole più di quello che può: è in questo “più” che essa si inscrive.” “…la poesia vuole qualcosa che non è molto diverso da quel che vuole una comune pietra: diventare trasparente, cristallo, universo cristallino.”. Leggendo i versi di Germana Duca ho visto questo universo cristallino di parole, di nitore antico e risorgente.
A distanza di qualche giorno, necessario al ripensamento, trovo in questo lavoro ultimo di Germana una sorta di pacificazione, di distacco, dove non è più necessario domandarsi o dare spiegazione dei perché, ma piuttosto ascoltare maternamente ciò che la vita e la morte ci dicono per poterlo riferire; l’orizzonte si è fatto più ampio verso tutti gli angoli della terra, ma in realtà ridotto all’essenza:
e non vi sia esitazione
alla fine
fra paura e preghiera.
Anna Elisa De Gregorio
GERMANA DUCA RUGGERI:
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