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GERMANA DUCA RUGGERI: hanno scritto su Gli angoli della terra
 

 

ALLA  RICERCA  DI  ITACA

di Luciana Montanari

 

Nella confusione delle nostre giornate, caratterizzate da ritmi frenetici e da letture frettolose, c’è spazio per la poesia? Esiste la necessità di una parola diversa che sappia condensare suono e sentimento facendoci riflettere sul mistero della vita umana?

Considerando quanto siano affollate le giornate dedicate alle letture poetiche, per esempio quelle della Divina Commedia commentate da Roberto Benigni, sono indotta a pensare che anche oggi ci sia un grande bisogno di poesia.

Ho letto da qualche parte che i lettori di poesia non si contano in orizzontale, ma in verticale, non si calcolano nella dimensione dell’attualità, ma in quella della continuità.

 

 

Scriveva Carlo Bo in Aspettando il vento (Ediz. L’Astrogallo, 1976): “La poesia è permanente posizione di vita e il suo futuro si consuma nell’aspettazione di una verità”.  Verità che non è univoca, ma che si riverbera in modo diverso da lettore a lettore, a seconda della sua cultura, del suo stato d’animo, del contesto storico in cui vive.

Diceva Borges che “nessun poeta sa interamente ciò che gli è stato concesso di scrivere”. Di qui la ricchezza e la poliedricità della parola poetica.

     Leggo sempre con interesse la poesia di Germana Duca Ruggeri che ha ottenuto significativi riconoscimenti a livello regionale e nazionale. Pur ispirandosi alla realtà quotidiana, i suoi versi non sono mai banali, perché scavano nella profondità della coscienza, per cogliere il mistero della vita, la sua fragilità e la sua bellezza. Dice infatti la poetessa : <<La poesia non è una pianta esotica/ non cresce nelle nuvole/ ha radici nella terra calpestata nell’infanzia/ e su quella passata a guado nell’età matura. E’ verità a pezzi / vita ansiosa di ricomporsi / quasi fosse fiore o farfalla / che oltre la sua stagione non dura>>.     

     Con questi versi ci introduciamo nell’ultima opera composta da Germana Duca Ruggeri, che attraverso le varie tessere della memoria, frantumate e disperse, ricompone l’unità della vita con le sue segrete verità. Pubblicata nell’aprile 2009, presso l’editore Joker di Novi Ligure, nella collana L’arcobaleno, la raccolta Gli angoli della terra, pur echeggiando timbri e temi già emersi nella precedente produzione, sorprende per la novità di alcuni accenti e per l’arricchimento di alcuni contenuti.

     La nota costante della nostra autrice è la sensibilità dolorosa del tempo, alla cui forza distruttrice si oppone il valore salvifico della parola poetica. Su questo solco si muovono i precedenti testi poetici distanzaistanza ed  Ex ore, usciti rispettivamente nel 1999 e nel 2002, nonché Tessere (2004), con cui la Duca Ruggeri si cimentava nella prosa attraverso una straordinaria varietà di proposte espressive.  

     Gli angoli della terra si arricchiscono di una tensione spirituale e di un’ansia del divino, appena adombrate nei testi precedenti. L’opera è scandita da due momenti, intitolati rispettivamente “Materiali” e “Immateriali”, che colgono la dicotomia tra cielo e terra, spirito e materia, in un continuo trascolorare delle due dimensioni.

     In “Materiali” l’autrice volge la sua attenzione alla vita terrena, alla presenza corporea, al nostro mondo con tutto il suo male e il suo bene; in “Immateriali” ci introduce nella realtà metafisica e nei bagliori dello spirito, cogliendo la luce salvifica di un Dio, padre misericordioso, che ci attende paziente e ci attrae come una calamita. Tra le due parti comunque non c’è una netta cesura, perché le due dimensioni sono in continua correlazione. La materia anela a qualcosa di superiore, nell’universo fisico c’è il respiro di Dio,  mentre nella realtà trascendente permane la memoria della vita terrena e delle passate emozioni.

     Si mescolano nella poesia di Germana riflessioni su eventi e personaggi della cronaca contemporanea (il rapimento di Ingrid Bétancourt, per esempio, la guerra , gli attentati) con i fatti legati alla vita familiare, in cui si incrociano luoghi appartenenti a continenti diversi  in una visione globalizzata del mondo.

     Vicino e lontano, microscopico e macroscopico, finito e infinito, pace e guerra, morte e vita sono le antitesi da cui sgorga la poesia di Germana, che, anche quando scruta i fatti minimi della vita o le miserie del mondo, vola verso nuovi orizzonti aprendosi a incalzanti desideri e speranze.

     Un  inno alla vita sono le poesie ai “figli dalle molte mete” e ai nipotini Samuele e Filippo, cui è dedicata la raccolta. Essi, approdati in continenti diversi per motivi di lavoro, costituiscono un esempio di come potrebbe essere bello il mondo, fondato sulla fraternità e la collaborazione. <<Figli dalle molte mete pronti / sempre a dire andiamo a voi / offrirono più patrie la natura / e il caso. Babelico il colle / di Urbino disegna la traccia / del ritorno sul palmo di Filippo / nato il duemilaquattro l’ultimo / di aprile su un’isola del Nilo>>.

     La guerra purtroppo incombe, distrugge le cose, i sentimenti, la memoria, riducendo al silenzio persino la voce della coscienza. <<La guerra corrompe. Solo fosche / soglie. Finestre prive di fiori. / Langue l’amore. Dallo scaglio / della prima pietra esonda il sangue. / Grava il silenzio. La coscienza tace. / Nessuna memoria del passato>>. Di qui la preghiera accorata a Dio, affinché dia il tempo agli uomini di conoscersi e di comprendere  che le diversità non sono barriere, né motivi di paura. <<O Signore / cui nulla è impossibile / donaci ancora il tempo / per conoscerci / così come siamo diversi. / Aiutaci a superare / per gradi le barriere / a trovare sempre / il modo di intenderci / a realizzare il sogno / di vivere liberi dal male>>.

     L’amore per la natura e le sue bellezze fa vibrare i versi della prima parte della raccolta in una fantasmagoria di colori e immagini, che disegnano il paesaggio marchigiano, costellato di case, di vigneti, di campi coltivati. <<Terre e case si abbandonano / al chiarore liquido della sera / come in un bagno. / Covate di luce / sul ciglio delle genghe / dilatano le ombre / ma ancora si distingue / un albero dall’altro / il melo dal susino. / Scintilla fra le foglie / il mallo della noce / sotto i pampini si illumina / un grappoletto d’uva>>. E alla terra marchigiana, ispiratrice di tante liriche, è manifestamente dedicata questa poesia: <<Sopra i tetti la luna è rotonda / e vagante. Nei campi il frumento / ha soave odore. Quasi un inno / di lode alla bontà della terra. // Questa piccola terra di lingue / diseguali costiere o collinari / fra parlate di Appennino sante / polline-concime di poesia. //

Parola somigliante né a fiume / né a torrente ma a rivolo / di acqua piovana che assidua / si adagia nel solco e allatta il seme>>.   E come nel Leopardi, anche in Germana l’idillio è collegato alla rimembranza. <<C’era come un riso / in quelle corse intorno al lago / e fra le labbra a primavera / fischietti di foglie di canna. / Si  udiva fragore di rane / guizzavano carpe lucenti / e noi non sapevamo se parlare o tacere. / Confuse ondeggiavano le nostre tre vite / sullo specchio rotondo dell’acqua>>.

     Nella seconda parte della raccolta si snodano liriche di maggiore spessore, in cui echeggiano i timbri umbratili ed evanescenti della poesia dantesca, quella dell’ascesa, quella che tende all’infinito, ma che, nel contempo, non sa staccarsi del tutto dal mondo terreno. <<Traversati i dodici segni / di gran carriera / ora siamo immateriali / scintille di brina / cosparse di luce incessante / nutrite con fior di farina. // Qui non ci sono differenze / la musica è continua / senza interferenze / ma l’ombra / un po’ ci manca / ne abbiamo nostalgia. // E voglia / ci prende spesso / di nido e nidale / calore fetale / latte materno / pane comune. // La chiamano (quassù) / ‘ansia di finito’ oppure / ‘ansia del mortale’>>. Scorrono immagini di luce cui si contrappongono le tenebre della notte in una cosmica battaglia di luce incandescente ed ombra, di suoni e silenzio. Forte è l’anelito di pace, il desiderio di staccarsi dalla riva per inoltrarsi nel mare dell’infinito, ma il legame con il mondo terreno permane fortissimo e così i ricordi irrompono. Sfilano le figure care alla poetessa, passate a miglior vita: la mamma Amelia, colta nel momento in cui, tormentata dal male, è pronta a cedere. <<Allora vide lo sguardo diviso / fra pianto e riso la nuova via / la pietra rotolata un angelo>>; il padre Berto, cui Germana chiede l’intercessione presso Dio, affinché <<…non vi sia esitazione / alla fine / fra paura e preghiera >>; il poeta Paolo Volponi, la cui scomparsa, avvenuta in una notte di agosto, è emblematicamente rappresentata come una finestra illuminata sulle mura antiche di Urbino. Di continuo echeggia il mito dell’infanzia, cui Pavese attribuiva molto valore, perché in essa è racchiusa la verità segreta della vita di ognuno. Nei Dialoghi con Leucò egli mette in bocca ad un personaggio questa riflessione:

<<Ma abbiamo tutti una montagna dell’infanzia. E per lontano che si vagabondi, ci si ritrova nel suo sentiero. Là fummo fatti quel che siamo>>.(Cfr. “La strada” in Dialoghi con Leucò, Torino, Einaudi, 1947). Per Pavese i miti dell’infanzia erano legati alle Langhe, alle colline del Monferrato, ai riti e alle credenze del mondo contadino, per Germana Duca affiora Ancona, la città natia, ruvida e scontrosa, <<racconto scritto con spino di cardo>>, sirena nella nebbia, <<varo di nave nel cuore>>. Scorrono le vie, le chiese, le leggende, il porto con il via-vai delle navi, tutto vissuto con una punta di nostalgia e di rimorso, perché ad Ancona la poetessa pensa di aver dedicato poco, solo quello che ha potuto. E accanto ad Ancona si staglia più frequentemente l’immagine di Urbino, la città degli studi, della vita di sposa e di madre. Se la città dorica appare con il suo mare e il suo porto un crocevia di arrivi e partenze, una città a cui si torna sempre più raramente, Urbino, mura secolari, <<filo di cruna / di altura e scarpata / mito / disegno intelligente>>, dà l’idea della stabilità, un punto fermo, che sembra respingere ogni iniquità, un’isola felice, cui, quando si è lontani, si desidera sempre tornare. Urbino è divenuta parte integrante della vita della poetessa tanto da prestarle persino il suo dialetto cantilenante per forgiare molti versi.

     Nella nostra epoca però nessun luogo può estraniarsi dalle iniquità e dalle vicende dolorose, che colpiscono tante parti del nostro pianeta e così anche la pace di Urbino è turbata. Dagli schermi televisivi irrompono di continuo immagini sconvolgenti, perché <<gli angoli della terra sono covi di violenza>> recita profeticamente il salmo 73  II  (13-23), posto come frontespizio nell’ultima lirica del testo. Ispirata al tragico attentato kamikaze che a fine novembre 2009 colpì Mumbay, lacerandone  la convivenza civile e religiosa, la poesia pone in antitesi la città fumante con il volto puro di Urbino, l’impeto dell’odio con la levità dei sentimenti e dei pensieri. E dalla chiusa delle mura urbinate sgorga accorata questa preghiera, con cui si chiude la lirica: <<Dal gran mare del paesaggio in alto / sale senza fine la supplica alla pace>>.

     Versi ricchi di sentimento quelli di Germana Duca, che coglie gioie e dolori, rimpianti e speranze. Si delinea l’immagine di una donna dolce e paziente, che, pur toccata dalle vicissitudini della vita, trae la sua forza dal calore degli affetti, dalla solidità della sua famiglia, dal desiderio di secondare il volere di Dio, scolpito nelle profondità del suo cuore. Si può allora attendere con serenità la morte e si può aprire l’animo alla speranza, cogliendo il bene nelle piccole cose.

     Le poesie di Germana, apparentemente semplici, ma in realtà tutte elaborate con finezza e gusto, ci consentono di compiere un viaggio, arricchendoci di esperienze ed emozioni, come Ulisse alla ricerca della sua Itaca. E, avendo nelle orecchie l’invito suggestivo che il poeta Costantino Kavafis ci rivolge con la sua famosa lirica “Itaca”, facciamo scivolare la nostra zattera seguendo le parole ispirate della poetessa:

 

                           <<Incredibile quanti itinerari

                                si intrecciano in una parola

                                nelle sillabe di una poesia

                                nello sguardo di chi ascolta.

 

                                Nell’era del tempo reale

                                l’antica vocazione garantita

                                dal nome di Socrate è zattera

                                cui appigliarsi con dieci dita.>>

 

                                                      Gli angoli della terra di Germana Duca Ruggeri,

                                                      Novi Ligure, Edizioni Joker, 2009

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GERMANA DUCA RUGGERI: critica su Gli angoli della terra