DI MARMO E D'ARIA |
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Da IVª di copertina
Un costante ritmo interno anima versi stesi su uno spartito che accomuna musica e silenzio a dire di perdita e ritrovamento, di dialogo e mutismo, di segni certi e di esclusioni, di esistere e morire. La vita si racconta così: l’ossimoro regna sovrano.
OCCASIONI Collana curata da Anna Grazia D Oria
© 2005 Piero
Manni s.r.l. Via Umberto I, 51 - San Cesario di Lecce In copertina: Carlo Carrà, Vele, 1937 Progetto grafico di Vittorio Contaldo
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DI MARMO E D'ARIA (1998-1999) 9 Come turgide lacrime cadute 10 Ti porto il biancheggiare veloce delle rondini 11 Ridere e piangere insieme quest’emozione certa 12 Anche la morte 14 Ti cerco nelle nuvole chiare 15 Che cosa resta? cielo critto 16 Seduti in poltrona 17 Il grillo stecco mi è volato dalle mani 21 Come ventate passano gli amici 22 Toccano terra 23 Il bisogno di parlare dei morti 24 Che cosa faresti al mio posto stasera? 26 Mi è bastato 27 Dopo la morte si potesse avere 28 In cielo è ricomparso l’azzurro 29 Amore stasera ha mille braccia 30 Ancora una domenica di sole 31 Per te 32 Lei è bionda e c’è il vento 33 Se ti penso come un guscio 34 Cielo di quando tutti i desideri 35 Avrei voluto scegliere un dolore 36 Oggi tu c’eri 37 Io e te Alice 38 Non essere attraversato 39 Scompaginate 40 Spalancati come due abissi
TACCUINO BELLUNESE (1999) 45 I due castagni sono molto vecchi 47 Cimitero di montagna quadrato 48 Lui resta davanti al televisore 49 A spandere la luce della neve 50 Disabitato il giardino e la sua villa 51 S’illuminano di gialli paglierini 52 Entri disegnato dalla notte 53 Vibrò
FIGURE (1998-2004) 59 Ho chiamato sorella la tua assenza 60 Alice ti scrivo spettinando 62 Tra una pioggia e un ’altra pioggia 63 Napoli ha colori di cartapesta 64 Arrivato da un’altra stagione 65 Fra quinte grigionere 66 Carta d’identità 67 Tenue vernissage dei nostri frammenti 68 Quando la nostalgia ti porta sempre al mare 69 Oggetti a un tratto apparite 70 Nel cerchio delle luci dei paesi 71 Di un viaggio in Jugoslavia 72 Mare che continuamente ritorna 73 C’è un mare amato dalla terra 74 La canzone del lilla 75 Giacinto bianco 76 Erba di pratoline sponda innevata 77 Solita ora di un giorno qualunque 78 Gatto che dal melo scendi giù 82 Note -- Recensioni di Gastone Mosci
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Maria Grazia Maiorino, Il Messaggero 31/08/2005 http://www.mannieditori.it/rassegna/maria-grazia-maiorino-di-marmo-e-daria La poesia di marmo e di aria Di marmo e d’aria come le iscrizioni dei templi corrose dal vento. Il titolo del nuovo libro di Maria Grazia Maiorino (Di marmo e d’aria, Manni, Lecce 2005) dice il segreto nascosto nelle sue pagine, quell’ansiosa ricerca di un amore scomparso troppo presto e delle parole per elaborare il lutto, che rappresenta il leit motiv della prima omonima sezione. Una ricerca che può contare su molte tracce, lasciate nelle tele che decorano la casa e nei mobili costruiti dalla mano sapiente dello scomparso. Ma che si rivela una ricerca tormentosa, perché al suo posto l’amore scomparso ha lasciato un vuoto vertiginoso. A riempirlo la poetessa chiama gli oggetti. i sogni e i ricordi, ma un grido musicato, note di pianto ne escono, lancinanti, per quanto discrete, fatte di immagini e non di lamenti. Di marmo e d’aria racconta l’elaborazione di un lutto, tentata con tutte le armi, ma prima di tutto con quelle della scrittura e della magia, la magia di Bruno, che deriva dalla profonda conoscenza della natura. Maiorino è sempre stata poetessa della natura, panica, e ciò ritorna nelle altre due sezioni del libro. In Taccuino bellunese (1999) leggiamo: ho sfumature minerali vene/ che scorrono nei monti piene/ rimbalzanti di torrenti e placide/ rive fluviali e in Figure (1998-2004): vorrei raggiungere/ la grazia animale – essere come te/ una con il mondo. Nonostante i più strazianti dolori, Maiorino è riuscita ancora una volta a proiettarsi fuori di sé, e questa dote ha premiato l’Accademia della Crescia di Offagna, conferendole il titolo di “Cavaliere” lo scorso 30 luglio, per i suoi meriti nel campo della poesia e della promozione culturale. Valerio Cuccaroni
Di marmo e d'aria di Maria Grazia Maiorino Una poesia di visitazione, Gastone Mosci, “Novanta9”, L’Aquila, giugno 2007, n.10
Ho partecipato, in Urbino e in Ancona, alla presentazione dell’ultimo libro di poesia di Maria Grazia Maiorino, “Di marmo e d’aria” (Manni 2005) e mi sono ritrovato a fare alcune riflessioni a voce e a pormi la questione, “dove va la poesia?". Del resto è naturale questa domanda per chi ha a lungo frequentato Carlo Bo, che immancabilmente interrogava il poeta, che stava leggendo, e se stesso. La sua lettura tendeva ad entrare nell’animo e nella scrittura dell’autore e nello stesso tempo cercava risposte pubbliche, civili (il canto come forma ed espressione dell’esistenza). La poesia doveva attraversare il mare della vita e non perdersi nel semplice esercizio interiore ed intellettuale… Dove va la poesia? Di fronte a questa domanda senza fine quale contributo porta Maria Grazia Maiorino? Una prima scelta di campo comprende il sistema dell’occhio, la civiltà dell’immagine. Il paesaggio e i pittori guidano la sua interrogazione: paesaggio come territorio, contesto, luogo di vita; visione come articolazione di una pittura di sensi e di colori, il ritorno e l’osservazione dei soggetti amati. Poi c’è lo spazio della musica: canto e suono, canto minimo di haiku e canto maggiore di testi come Letti tutti i libri, Hermes Orfeo Euridice, Giacinto bianco, Venticinque anni dopo. Il volumetto comprende tre sezioni: “Di marmo e d’aria”( 1998-1989), “Taccuino bellunese”(1990) e “Figure” (1998-2004). La prima poesia dispone a una poesia di visitazione. La Maiorino è alla ricerca di qualcosa che si definisce nel corso del canto: le voci sovrane, l’amore, la morte. Ma chi è il guerriero invocato nella dedica? La vita e l’amicizia, il testimone dell’esistenza, chi silenziosamente ti accompagna, un angelo o uno spirito comune o un fantasma. Il guerriero è come l’angelo, un intermediario che annuncia, di marmo e d’aria, un ossimoro, la figura di tempi di desolazione e quindi anche di domande assolute, la vita e l’amicizia, l’amore e la morte. Secondo dato: la visitazione è come un movimento, ricerca di luoghi di esistenza e contatto con la natura, l’ambiente, il paesaggio. Uno spazio preciso ha il viaggio fisico o interiore sostenuto dall’emozione. E quindi la poesia è come un happening, scena teatrale, discorso, dialogo, incursione verso la morte, che è comprensione della vita e sguardo verso l’eternità. Il “Taccuino bellunese”. Nove testi di un pathos intensissimo, una plaquette a sé, un canto del ritorno, una melodia nel teatro dei luoghi e dei ricordi. Oggi si chiama poesia dell’identità con il primato del territorio, canto di desideri. La poesia per l’autrice è un disegno di luci e di movimento come un quadro di Monet. Poesia di luoghi e di desideri conosciuti, che hanno risorse antiche nei boschi, nel verde, nel cimitero, nella casa. Riconosco subito la casa / anche se l’orto è spoglio / una vecchia s’affaccia sospettosa / chiedendomi se cerco qualcuno / le rispondo cerco la mia infanzia / la vendemmia il géscol posso / andare a vedere? (p.46). I ventidue testi di “Figure” rappresentano un insieme, sono tessere che pongono domande, sono sospiri di chi ha attraversato la vita, di chi cerca un orizzonte senza fine. Sono “cantos”: hanno una pienezza d’espressione e la tentazione di un itinerario misterioso, sono come la pittura di Libero Ferretti, una tapisserie di segni e di specchi. Poi il mare domina con le sue luci e i suoi silenzi e una musicalità dissonante. La stessa tensione per le città che sono universi interiori, sensazioni e luoghi. C’è un mare amato dalla terra / dai nidi di legno dei porticcioli / quando le barche s’accostano mute / e camminano ombre lungo i moli / sola la luna corre sui crepacci / delle nuvole si spegne e’accende / come un faro per altre direzioni / ci sono tutti i mari del passato / nei nostri occhi stasera che non osano / guardare lontano. (p. 73)
Vorrei porre anche la poesia della Maiorino in quello
slancio e in quel dialogo d’amore e di riflessione Gastone Mosci
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Mio guerriero di marmo e d'aria (Esergo)
Hermes Orfeo Euridice Ti cerco nelle nuvole chiare
Ti cerco nelle nuvole chiare
Ora ascolto più a lungo
Ora ascolto più a lungo
Letti tutti i libri
Ogni
volta dove ti vedo?
Le ninfee
di Monet
Riconosco
subito la casa |
Ferma al semaforo - solito posto -
Napoli ha
colori di cartapesta
Nel cerchio
delle luci dei paesi
C’è un mare
amato dalla terra
Di un viaggio in
Jugoslavia
Solita ora di un giorno qualunque
Venticinque
anni dopo
Padre da dove
ritorni?
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Il "dialogo" nella poesia della raccolta Di marmo e d'aria di Germana Duca Ruggeri da hebenon, maggio 2006 Maria Grazia Maiorino, Di marmo e d'aria | Manni Editori -
... Circola nelle pagine di questa raccolta di poesie l’ossimoro morte-vita. Il libro infatti si fonda su uno dei momenti cruciali dell’accadere psichico, quello della separazione, della perdita, della nostalgia; esperienze complesse, eppure esprimibili se ci si ripara, come fa Maria Grazia, nel firmamento della poesia d’amore, ‘occasione’ di rinascita interiore, definitiva accoglienza dell’altro. Poesia d’amore - e di Amore - va da sé, in senso lato: affinità artistiche e spirituali, delicato attaccamento alla casa, agli oggetti, agli animali (specie al cane Alice, umanissima pittura di Bonnard). Insomma prossimità alla natura, nel sentimento di ogni albero e fiore, nel continuo legarsi della terra al cielo, fra scorci marini e urbani, giardini, sentieri; contemplazione di ogni dettaglio ... A ben guardare, tale fluidità non solo ora rispecchia gli aspetti transeunti del vivere, ma diviene mezzo per transitare da una situazione all’altra, spinta a fare, ad abbandonare idee fisse - di scoramento - per riconoscersi in qualcosa, in qualcuno: Come turgide lacrime cadute / da un corpo mutilato rametti / foglie scomposta armonia / di anni fragile vita vegetale / ti raccolgo e ti do nuova terra / e mi riconosco in ogni esilio ... Ma torniamo al principio, a Paolo - “Mio guerriero di marmo e d’aria” -, mèta d’amore su cui la poetessa trasferisce ogni energia narcisistica e creativa: quando ti lasciai per andare / a ricevere un premio in un’altra città / all’improvviso eri là tu nella voce allegra / di una giovane attrice nella mia gioia sorpresa / come non l’avessi scritta io la poesia e non fosse lei / ma te che abbracciavo. L’identità fra sé e l’altro si muta in vero e proprio maternage nella canzone stupenda del distacco, Hermes Orfeo Euridice: Andavamo tra viburni e lecci / come una conchiglia si apriva sul mare / il bosco dall’alto ne raccoglieva la voce / le mani strette davanti alla tomba ... L’immagine della coppia, strappata al tempo umano dalla forza trasfiguratrice dell’ultimo volo, torna a ricomporsi per via fantasmatica ne Le ninfee di Monet, dove la copia del famoso quadro, realizzata da lui, protegge il sonno di lei: le ninfee continuano ad apparire / le loro piccole macchie chiare / fioriscono sulle cose perdute / Giverny di tutti i nostri giardini, attuando un magico equilibrio fra pensiero che rimugina l’assenza e visione compensatrice di ‘cose’ superstiti: “umili oggetti se animati / con quanta fedeltà voi ci seguite / piccole ancore che siete / anelli nel buio campanelle”. Il dialogo, tema tradizionale nella poesia d’amore, (qui all’altezza, specie nei moduli anaforici e iterativi, del recente Tema dell’addio di Milo De Angelis; oppure accostabile, per certe fini profondità, a Daria Menicanti di Ultimo quarto) avviene fra un io scoperchiato e un tu silente. Su tale divaricazione si infrangono i tentativi di rivivere una pienezza, un “insieme”, sino all’affiorare di un intenso desiderio di rigenerazione - “Cerco un utero per rinascere / incapsulata nella mia ombra” -, da attuare di preferenza, si direbbe, nel ventre accogliente della scrittura. Per ripetere ogni nuovo giorno la nascita di un nuovo verso, liberando l’immaginazione: direttamente scrivere a un poeta / anche se il poeta si chiama Giacomo Leopardi e finora / non avevamo osato pensarlo. Poesia e Amore, così inafferrabili, grumi di aria che presto evaporano, possono perciò trasformarsi in forza - (La forza è solo pena / costretta in disciplina - / fino a che i pesi pendano), dice Emily Dickinson sul ciglio del libro - e imprimersi sulla carta. In pagine ora esatte e irrevocabili come lapidi di marmo – “Io e te Alice / un’arca di Noè / dopo il diluvio” -, ora abitate da un crescendo visionario e favoloso, nell’assaporamento quasi fisiologico delle parole, raccolte e combinate una all’altra come ciottoli di fiume. Simili al covolà, la pavimentazione realizzata coi sassi del Piave. O al géscol, incanto infantile che, come l’aquilone, vince sul dolore di Maria Grazia adulta e la riconcilia con la realtà, spazio-tempo da custodire, dettaglio da salvare. Germana Duca Ruggeri
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DI MARMO E D'ARIA |