E HO TROVATO LA ROSA
GIALLA |
Prefazione di Guido Garufi
E’ la Dickinson che fa da singolare epigrafe e pretesto a questa raccolta diretta a scorgere la traccia o qualche minimo segnale di vita, sia esso un fiore, sia semplice attesa di un evento capace di ribaltare la consuetudine, l’isolamento, la mutilazione del discorso. Ed è per questo che Maria Grazia Maiorino affida al titolo E ho trovato la rosa gialla la forza del reperimento, dell’invenzione, di quell’invenire che è cercare, trovare, argomentare sulla scoperta. Tutto questo accade grazie ad un tragitto interiore, un sondaggio, una discesa agli inferi, in quella zona di latenza in cui giace un passato che ancora “brucia”, blocca, un fondo che costituisce una ipoteca pesante, così pesante che a volte la stessa scrittura ne risente quanto a – direbbe Calvino – “leggerezza”. Per evitare la formula occlusiva e grigia del monologo lirico-lamentoso, la Maiorino tende a distendere la sua poesia quasi sul piano della prosa. E’ piuttosto facile infatti leggere un ritmo o un andamento narrativo, una tensione cronachistica bassa, una lingua che funge da semplicissimo repertorio-archivio di fatti, elementi, luoghi da tradurre in “racconto”. Questa linearità è però interrotta da cuspidi ritmiche, balze che con sorpresa, articolandosi sul gioco di condensazione consonantica, hanno lo scopo di spezzare e modulare la piattezza lineare della dizione che risulta sempre rafforzata dagli incipit ad alta valenza espressiva, altre cuspidi che svolgono la stessa funzione: “Partenza che tu non sapevi” oppure “Improvvisamente sei apparsa” ed anche “Mia città rivisitata”. Questo gioco di ritorno, nostalgico, si sa del resto che nòstos vuol dire propriamente ritorno, non limita la raccolta dei versi circoscrivendoli dentro una cornice sentimental-crepuscolare, annichilita: quel cammino ipogeo, per sua fortuna e in questo ci pare consistere il pregio della Maiorino assume i caratteri del viaggio fotografico, di una sequenza che ha la potenza e il fascino della chiarezza e dell’evidenza: Acqua ferma di una domenica estiva da far passare come una malattia. Ogni viaggio ha quest’immobile vigilia quando la coscienza si fa bianca e tesa come vela che non sfugge al vento. Sembra che la poesia voglia riconquistare quanto è perduto, e tutto insieme, maternità, amore, infanzia, origine, e, in parte, ci riesce, non fosse altro che per il ruotare intorno a figure guida (sotto l’aspetto di metafore ossessive) come l’altro, la relazione, la conversazione, che si traducono e coagulano nel segno del figlio e del dialogo interrotto. La poesia si riprende allora il corpo che manca, assente come tante storie, diventa essa stessa materia utilizzando un elenco sterminato di oggetti, di geografie urbane e domestiche sulle quali predomina come orizzonte l’archetipo di acqua-mare, persino nei concentratissimi Haiku dove gli elementi avvolti nella brevità annunciano una forte potenza comunicante ed invocante. Trovare la rosa è per Maria Grazia Maiorino, trovare la cosa, nominarla, affidarle un linguaggio, rendere esplicito quanto è nascosto e compresso, quanto non si riusciva più ad articolare rimanendo celato ed oscurato. La sua ricerca è questo scrivere della rosa, affidando ai versi e forse alla vita della scrittura l’orientamento, usandoli come bussola in un deserto, cercando con una calda intensità, con una tragica distanza, il suo “girasole impazzito di luce”. Guido Garufi
Dalla Nota di Angelo Ferracuti
C’è un clima invernale che sembra dominare l’immaginazione poetica di Maria Grazia Maiorino, - le rose colte, gli amori, le passioni, “sono doni dell’inverno / sono fuochi nel marmo” – e c’è, in questi versi, un cambio di stagione naturale, e nel contempo esistenziale, sentimentale, e infine un “vuoto d’amore” che non è mai solo personale ma che riguarda tutti. Il “grande freddo” di questi versi d’esordio sembra dunque arrivare da una stazione certo esistenziale e interiore, ma anche da quella – non meno dolorosa, non meno luttuosa – che appartiene a buona parte della generazione sconfitta e “sfiorita” nel corso dell’ultimo decennio.(…) Angelo Ferracuti
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DAL GRANDE FREDDO delle strade della mente mi hai accompagnato fino a questo davanzale dove tremano al vento le viole del pensiero e nel cielo pieno di pioggia brillano anzitempo come piccoli soli.
CRETA
primo richiamo d’Africa, argento verde sale alla finestra del sud il vento degli ulivi. Puro confine é la terra, profumi induriti di spine, oleandri a segnare il cammino dei fiumi. Emigranti che tornano, bivacchi sfacciati sulle navi, donne chiuse fra il nero delle vesti e il pizzo dei ricami. Creta, bozzolo d’acqua blu, filo di seta, raggio di sole.
CAPODANNO A BUDAPEST |
E HO TROVATO LA ROSA
GIALLA |