Maria Grazia Maiorino:
HAIKU DI TERRA |
Introduzione
Ricordo la prima volta che partecipai alla giuria di un premio letterario. Abituata a valutare come insegnante, come autrice mi ero trovata sempre dall’altra parte, con tutte le trepidazioni del caso. Avevo accettato curiosa. Battuti con vecchie Olivetti e al computer, corsivi simili a una grafia gentile, testi brevi e lunghissimi, uno solo o alcuni uniti insieme da un punto di cucitrice. Titoli discreti, titoli appariscenti, sottolineati, in grassetto. Il testo è anche qualcosa che si vede, che fisicamente si tocca, ci tocca: sensazioni che passano attraverso gli occhi, immediatamente, e poi attraverso il primo impatto con la lettura e con le letture successive. Man mano che leggevo dividevo i fogli in due cartelle: una rimaneva esile, l’altra s’ingrossava sempre di più. Vi andavano a finire i testi che non mi piacevano, non perché di gusto diverso dal mio, ma perché c’è un vero/falso applicabile alla scrittura; un livello da cui partire per esprimere scelte, preferenze, consonanze, per lasciarsi meravigliare ed arricchire dal nuovo e dal diverso. Non immaginavo potessero esserci in testi inviati a un premio letterario tanti spazi reali o sentimentali così generici. Forse la cosa che mi colpì di più fu proprio la non specificità di luoghi, sentimenti, persone; la mancanza dei “divini” dettagli, raccomandati da Nabokov a chi scrive. Il linguaggio sembrava opacizzato da una polvere di banchi di scuola, da letture male assimilate, da un’idea della poesia fuori del tempo, con troppi cavalieri, tramonti, mari, simili tra loro, con troppi buoni sentimenti, madri e virtù da salvare. Oppure, sul versante opposto, qualche tentativo di usare le parole unicamente come gioco linguistico, come un rincorrersi di suoni... Nel momento di congedarmi da quegli sconosciuti avrei voluto dir loro: peccato che nelle nostre città siano così rari i Laboratori; gli spazi dove ci si può incontrare, confrontare, lavorando insieme ai poeti per riuscire ad acquistare una maggiore consapevolezza di che cosa è la poesia. Peccato che tante potenzialità vadano sprecate, potenzialità di vita, emozioni, sensibilità estetica, che potrebbero suonare come una musica originale, se il proprio strumento lo si sapesse far funzionare. Non si può insegnare a nessuno il mistero della creazione artistica, ma si può insegnare a leggere i poeti. Si può apprendere insieme l’artigianato dei versi. Si può riflettere, confrontando le proprie opinioni con quelle degli altri, sulla speciale relazione fra la poesia e il mondo. Nel presentare il quaderno n 1 del Laboratorio Rosagialla ho voluto ricordare quell’esperienza ormai lontana non per fare il generico lamento riguardo ai premi letterari o alla nostra terra di santi navigatori e poeti, ma per proporre in positivo un modo diverso di accostarsi alla scrittura poetica. Impariamo a sentire dai poeti. Se ci accostiamo alla poesia sgombrando il campo da pregiudizi, giudizi, confronto, complessi, brutti ricordi scolastici, e l’ascoltiamo agire dentro di noi, dandole il tempo di suscitare sensazioni immagini silenzi domande, lasciando in sospeso il mistero, l’ambiguità, senza farci prendere dall’ansia della spiegazione, interpretazione, commento, allora ci accorgeremo che la poesia può darci molto. Certamente è un buon allenamento a non generalizzare, a non sentirci una massa teleguidata, in un mondo in cui tutto è già stato detto. Ognuno di noi è unico ed irripetibile, e la poesia ci aiuta a prendere coscienza di questo, a individuarci, ad amare il dettaglio, a vivere nel presente, nel qui ed ora, nella concretezza dell’istante, dal quale soltanto può nascere la creatività. Perché la scelta dello Haiku per cominciare? Perché lo Haiku (una composizione di 17 sillabe, suddivise in tre versi di 5 - 7 -5, con radici lontane nella tradizione letteraria giapponese) mi sembra particolarmente adatto allo scopo che ci proponiamo di raggiungere. Ecco quali sono i criteri per dar vita a un haiku secondo il suo massimo rappresentante, Basho, poeta giapponese vissuto nel XVII secolo:
“ Comporre un haiku vuol dire esprimere con parole la luce con cui
le cose o il mondo vi appaiono. Questo va fatto prima che quella
luce si spenga nella nostra mente e nel nostro cuore.
Il Laboratorio si è articolato in tre parti. 1- Una parte teorica, di carattere storico-estetico, come introduzione ai testi, consistente in un percorso dalle origini dello Haiku nel Giappone del XVI secolo fino alla sua diffusione nell’Occidente contemporaneo. In particolare sono stati analizzati alcuni autori del mondo anglosassone, che hanno amato e sperimentato questa forma poetica, contribuendo alla sua diffusione soprattutto in America: Ezra Pound, Amy Lowell, con il gruppo degli imagisti, Jack Kerouac e la Beat generation. Si è concluso con uno sguardo alla produzione italiana, nella quale si colloca l’esperienza poetica di un autore della nostra città, Roberto Boldrini, al quale è stato riservato un incontro di lettura dal suo libro “Un seme di barca”, con la musica di Massimo De Carlo. 2- Lettura e commento dei testi appartenenti ai vari periodi e autori. 3- Scrittura di haiku che sono stati letti e commentati insieme.
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Una scelta delle composizioni dei partecipanti al laboratorio è raccolta nel quaderno che presentiamo con il titolo”Haiku di terra”. Titolo attinto dall’haiku di Natalia: Il musicista suona con i vasi haiku di terra
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Haiku per una città
Città pensata come una nostalgia d’altri poesia
Seduti insieme vicino alle campane ariosi haiku
Assorto fondale al teatro del porto chiesa del Gesù
Saprà l’acqua raccontare i sogni d’un cavallino di pietra?
Rimasta sola come una grande ala palpita l’arpa
La prima luce del faro è una perla fra i campanili
Nuvolaluna il fianco del Conero sale dorata…
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Maria Grazia Maiorino:
HAIKU DI TERRA |