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Luigi Stradella |
Urbino 2004
"Miraggi"
L'artista
raccontato dalla Grafica
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Monza: addio a Luigi Stradella, il pittore che voleva mostrare l’invisibile
È scomparso lunedì 9 marzo 2020 a 91 anni il pittore di Monza Luigi
Stradella: RICORDO DI MASSIMILIANO ROSSIN Girava ancora orgoglioso con una cartella di opere sotto il braccio attraversando il centro, fino a poco tempo fa: una vita d’arte e un’eredità importante sulle spalle, quella del nonno Emilio Parma davanti al quale aveva imparato i rudimenti della pittura, che aveva saputo scavalcare per trovare una sua voce unica sulla tela. Una voce che si è spenta: lunedì 9 marzo, è scomparso Luigi Stradella, a quasi cinque anni esatti di distanza dalla personale che gli avevano dedicato i Musei civici di Monza riconoscendo in lui un maestro dell’arte sotto il cielo di Teodolinda. Era il mese di febbraio del 2015: Luigi Stradella è il primo artista scelto per inaugurare con una mostra personale la sala espositiva temporanea della nuova sede nella Casa degli Umiliati dei Musei Civici di Monza - avevano scritto i Musei stessi presentando l’antologica curata dal conservatore Dario Porta - . Una scelta che è conseguenza di un lungo e ininterrotto rapporto tra l’artista e il museo civico della città dove è nato nel 1929. Un rapporto di stima crescente nel tempo che ha arricchito di opere del maestro le collezioni civiche cittadine, in grado così di documentare in modo significativo l’arte di Stradella e attraverso lui l’arte del suo tempo, di cui egli è sempre stato testimone autentico, fedele ma allo stesso tempo originale. «Amo la luce e la nascondo nell’ombra, in un mistero di contrasti» aveva spiegato allora l’artista alla cronista del Cittadino Sarah Valtolina -. Mi hanno riconosciuto una sorta di schizofrenia dei segni, ci sono momenti nei quali la mano si muove da sola, animata da un suo spirito indipendente e capace di riempire la tela. Il colore per me è un segno interiore e non un semplice tratto empirico». Aveva in quei giorni 86 anni: ne aveva 91 lunedì, compiuti da poco, lui nato il 28 gennaio del secolo scorso. «La mostra è dedicata a un maestro della pittura contemporanea, uno straordinario artista che nelle sue opere ha trasfigurato la realtà in immagini di poesia e bellezza» avevano annotato ancora gli ex Umiliati presentando la personale di un artista che si è diplomato all’accademia di Brera nel 1952 nei corsi tenuti da Aldo Carpi con l’assistenza di Italo Valenti. In quegli anni la partecipazione ad alcuni premi italiani, come il prestigioso Premio Lissone, il Città di Monza il Premio Marzotto, la Biennale di Rimini, la Quadriennale di Torino. La prima personale risale al 1956, con le sue opere alla Galleria Schettini di Milano con presentazione in catalogo di Aligi Sassu. L’anno successivo una mostra alla Bussola di Torino, presentata da Gianni Marussi. Sono gli stessi anni in cui inizia a insegnare alla Scuola d’Arte del Castello Sforzesco di Milano, incarico che ha mantenuto fino al 1976. Tra le mostre che gli sono state dedicate dalla città, oltre a quelle in gallerie private come Montrasio arte, si contano nel 1980 l’antologica alla Galleria Civica intitolata “Il momento del sogno” nei primi trent’anni di attività artistica e poi nel 1993 la personale all’arengario di Monza sempre per iniziativa dei Musei Civici, con catalogo a cura di Paolo Biscottini. Un lungo rapporto, quello con le collezione civiche monzesi, che lo hanno portato nel 1999 a donare alla città una “Passione secondo Matteo” dell’anno precedente, con intervento dell’Associazione Amici dei Musei.
«Mi lascio trasportare in epifanie di colori, che dal verde passano al rosso, all’azzurro, al bianco. Il bianco è l’espansione estrema, che libera gli spazi» ha detto tra l’altro l’artista al quale nel 2016 l’associazione Acca ha dedicato un video che è stato presentato alla Villa reale di Monza, al teatrino. E ancora: «La dilatazione della luce e dell’ombra e mentalmente infinita. I segni, che incidono la superficie, sono brevi e staccati, come la nostra esistenza, una brevità ansiosa di un paradiso immaginato. Tenerezze spente. Melanconie: desiderio struggente di un ritorno alle origini: impossibile. Voracità dell’immenso: vorrei fisicizzare l’invisibile su una superficie che non abbia fine e metterci dentro tutto ciò che sei stato e che sei, un corpuscolo espanso, una scheggia nell’universale silenzio». Il passaggio definitivo dal figurativo all’astrazione arriva nel 1961, con l’opera “Novembre sul Lambro”, che Dario Porta cinque anni fa aveva segnalato come il momento di passaggio all’informale. «Riesce a scovare nelle più prosaiche situazioni della vita quotidiana dei segni che poi riporta sulla tela, - aveva spiegato Porta - pescando nel proprio inconscio gli strumenti per decriptarli. È straordinario vedere come abbia preservato intatto nel tempo la capacità di cogliere e manifestare per mezzo della sua arte gli elementi vitali dispersi tra le pieghe del mondo».
Massimiliano Rossin
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Luigi Stradella |