ANTONIO FABI Quinto Rulliano Valente |
QUINTEIDE RULLIANEA
Presentazione di OMERO
Lavoro entusiasmante, devo dire: l’ ho ascoltato, ché leggere non posso, e mi ha fatto perfin ringiovanire, tanto è abile, Atena (son commosso), codesto autore, che ha avuto l’ ardire d’imitar proprio me, senza esser scosso, parlando degli Achei, d’Ulisse e d’Ilio, indubbiamente meglio di Virgilio.
Presentazione di VIRGILIO
Il vecchio Omero ha certo ragione, lodando il grande scritto ch’è qui sotto. Ha torto, e merita l’impiccagione, quando fa sia il censor, sia il finto dotto. Rullian, comunque vada, ha l’occasione di venir qui, nel circolo, condotto, con quel tal Dante, autor d’un poemetto, utile al sonno, quando si va a letto.
INTRODUZIONE
Seicentotrentamila ammiratori, Romani, Greci, Germani, Orientali, da me colmati d’oro e di favori, m’ hanno chiesto le storie originali, scritte da me e destinate a lettori amanti delle imprese eccezionali, compiute nel futuro e nel passato da un Console famoso e rinomato.
Tito Livio ed altri scribacchini han fatto solamente pochi cenni ai trionfi sui popoli vicini, dovuti a me, specie quando pervenni, attraversando i gran Boschi Cimini, a conquistar posizioni perenni. E tutto ciò nonostante il livore del sanguinario Papirio Cursore.
Altre conquiste, guerre, esplorazioni ho compiuto nei secoli seguenti, sia in accordo con le popolazioni, sia combattendo contro delinquenti. E piacque a me, e ai miei Commilitoni, rifare i viaggi di quei due potenti ma grulli eroi, il cui nome non scrivo. Per parte mia, inizio da un arrivo.
QUINTEIDE RULLIANEAPrima Parte 1. O Musa, un uom di multiforme ingegno dedica a Te questo modesto Canto, che lascerà, però, indelebil segno nel condominio della porta accanto e in Olimpo, se Zeus lo vorrà degno di suscitare in tutti il riso e il pianto, per i diversi temi ch’esso tratta. La narrazion, comunque, è cosa fatta. 2. Itaca la raggiunsi presto e bene e vi trovai un’ottima accoglienza. Non v’eran Proci a procurarmi pene e non v’era Penelope: pazienza. M’ avevano abbordato le Sirene, ma eran prevalsi il senno e l’esperienza; dissi lor: “Vezzosissime sardelle, non friggerò nelle vostre padelle”. (1) 3. Ebbi pure a che far con Polifemo, e, anche qui, non commisi alcuna svista con lui, che oltre che cieco è mezzo scemo. Memore del sistema comunista (di cui riparlerò, come vedremo), avevo dietro un’enorme provvista di teneri e grassocci bambinelli, che il Ciclope, facendoli a brandelli, 4. divorò con grandissimo piacere. E non ruttò neppure, fu educato; mi ringraziò e m’offerse da bere del vino buono, non quello drogato, col quale Ulisse lo fece cadere, ubriaco stecchito, addormentato. Salutandomi disse quel Gigante: “Quinto Rullian, buon viaggio e grazie tante! 5. Aggiungo che mio padre, Posidone, ha decretato, in mar, la tua fortuna, anche perché sei caro a zio Plutone. Segui le stelle in ciel, come la luna, ovver Selene (non quella che pone le sue forme procaci, una per una, in bella mostra, come a un baccanale, e ch’io non vedo neppur con l’occhiale)”. 6. E così, sia Cariddi, quanto Scilla, in base a quel decreto di Nettuno, fecer passar la mia flotta tranquilla, diversamente dal Signor Nessuno, che dovette sgusciar come un’anguilla, perdendo quattrocentosettantuno dei suoi compagni, come narra Omero; ed il numero è giusto, salvo il vero. 7. Con Circe e con Calipso fu più dura e dovetti fermarmi un “attimino” (2) per dare un po’ di pepe all’avventura, senza far la figura del cretino. Ma fui casto; nessuna cosa impura: l’una m’offrì del te, l’altra un budino, ché, per entrambe, a voler dire tutto, ero più che attempato e molto brutto. 8. Con Nausicaa, già vergine graziosa, gerontofila proprio per tendenza, fu, per il vero, tutta un’altra cosa. Mi volle concupir di prepotenza: avvicinossi, discinta e vogliosa; volle provare la mia continenza, sì che, come ha già detto qualcheduno, più che ‘l rigor poté il lungo digiuno. 9. L’anziano padre della principessa, Alcinoo, che regna sui Feaci, mi confidò, con aria assai perplessa, gli atteggiamenti liberi ed audaci della fanciulla, ch’era una promessa contro il sesso e l’amor, sensi fallaci. Ed io, furbescamente, dissi: “Il reo è quella vecchia volpe di Odisseo”. 10. Aggiunsi, poi, per consolare il vecchio, che, ormai, perdea per tal vicenda il sonno: “Sire, ti prego, presta a me l’orecchio, ché certi eventi infausti, invero, ponno portar beni migliori di parecchio. Tu, per esempio, non sei ancor nonno; Ma lo sarai, per Era e per Quirino! E il pupo chiamerai Sesto Rullino”. 11. Si commosse il vegliardo, a questo punto, ché la sua mente non era più oppressa ed il suo cuore avevano raggiunto le mie parole, così fu concessa, a me e alla flotta, che con me era, appunto, ospitalità ricca, non dimessa. Ma il re pretese una contropartita, che mi costringe a non farla finita. 12. Aveva, com’è ovvio, le sue “fisse”, vale a dire ch’egli era interessato (e senza mezzi termini mel disse) alle vicende di quel disgraziato quanto forte guerrier, di quell’Ulisse, che, nudo e infreddolito era arrivato a nuoto, mezzo morto di stanchezza, contrastato da una contraria brezza. 13. Ma, poiché il suo cantore già cantava, con la cetra come accompagnamento, la storia d’Ilio e, infin, l’impresa brava (3) del figlio di Laerte: “Ora rammento, e la ripetizion tanto mi grava;” Alcinoo disse “fermati un momento. Voglio sentir se il Console Valente reca qualche notizia più recente”. 14. Così gli riferii ciò che ho già scritto, usando le medesime parole, poi feci un resoconto molto fitto delle altre storie che, se non Vi duole, racconterò; altrimenti starò zitto. Se Vi va bene, comincio dal Sole, ovver da Elio e dal Suo grande carro: anch’Egli apprezza quel che ora Vi narro. 15. Le rotte mie e d’Ulisse sono uguali, anche se lui volea farla più corta, ma non c’erano, allora, i mezzi attuali. Ogni cosa ch’ei vide io pure ho scorta, seppur più in fretta e senza le letali sciagure ch’ei trovò fino alla porta di casa sua, dopo ben un ventennio d’assenza, come scrive anche Pescennio. (4)
16. Si diceva del Sole, che, furente, poiché le vacche sue fecero secche i compagni di Ulisse, rozza gente, dopo avere tirato quattro stecche, tanti ne castigò severamente. A me diede un quintale di bistecche: i legionari, più disciplinati, non tennero un contegno da pirati. 17. Quest’ultima parola mi riporta ai luoghi dei Lotofagi beati, presso i quali tenni condotta accorta. Tanti dei miei li avrebbero mangiati quei pomi ben più dolci di una torta, ma che Vi rendon subito “dopati”. Fermai, pertanto i miei capitani, dicendo di non far come Pantani. 18. Sono tutt’altro che proibizionista; e ciò debbo chiarirlo per dovere di causidico, ovvero di giurista, ché questo è il mio principal mestiere. Ma il troppo stroppia, specialmente in vista di duri impegni, come dee sapere sia il leguleio, sia l’imperatore, il soldato, il podista, il corridore. 19. Proseguii, dunque, il mio sobrio racconto mentre Demodoco ancor pizzicava, con un basso ostinato di quel ponto, ché ancora lo stil nuovo l’ignorava. Il Pachelbel è più profondo e pronto; ma il vecchio, tuttavia, se la cavava. Scusate la parentesi, o tifosi, ma è bene che, ogni tanto, mi riposi. 20. I Lestrigoni, popol di colossi, sordidi e idioti, anche se l’hanno duro (si dice sian gli antenati di Bossi), li sistemai, mettendomi al sicuro, con mossa preventiva (e non mi mossi), degna, invero, d’un cesarismo puro. Loro scagliavan sassi sol per gioco; ma io, prima, ordinai di fare fuoco. 21. Ne stendemmo ottocentosettantotto, ciascun pesante almen trenta quintali; se nol credete, giocateli al lotto tutti i miei veri numeri reali. E non farò di certo alcun rimbrotto per le corbellerie sesquipedali di chi sostiene che io dica il falso, perché di fantasia mi sono avvalso. 22. Ovidio, Apollodoro ed altri esperti, confermeranno autorevolmente che i fatti che racconto sono certi, non frutto d’invenzion della mia mente. Come succede in taluni concerti, il tono fa la musica piacente. E, per renderla tale a Lorsignori, qualche volta dal tema vado fuori. 23. Ma ci rientro subito: s’è visto, come s’usa e s’usò alla perfezione, da parte di Rabelais e d’Ariosto: insisto, in nome della loro tradizione, cara tanto a Lucifero che a Cristo, nel proseguir questa lunga canzone di gesta orrifiche, ma divertenti. Tacete, dunque, e state bene attenti. 24. Ma or le ottave, seppur soavi e belle m’ hanno stancato e voglio cambiar metro, dappoiché m’accapponano la pelle, (andando più di duecent’anni indietro), le rime incatenate. Pur con quelle il futur del poema non è tetro, anzi, scatenerà un grande uragano, una tempesta, un ciclone, un vulcano. 25 A Omero ed a Vergilio accendo un cero per tanto prestigioso contributo, che m’han fornito, oltremodo sincero, dopo avermi in profondo conosciuto. Si sfottono, in tono assai severo, per un astio che sempre s’è accresciuto nei secoli futuri e in quei passati; ma van capiti: sono pensionati. 26. Diva, termina qui la prima fase dell’opera che Tu m’ hai ispirato, suggerendo, talora, qualche frase, della quale non ho beneficiato, perché anche Tu, chiusa nelle Tue case, in Pàrnaso, hai lo strumento scordato. Come d’ Ade esplorai la zona fonda Vi narrerò nella parte seconda.
Note dell’autore1) Le Sirene hanno fama di ottime cuoche. 2) Termine odioso, che inserisco volutamente per sottolinearne la banalità. 3) Brava o prava? In altra sede canterò tutte le sventure di Troia, pur essendo un convinto filo-acheo. 4) Trattasi di Pescennio Nigro, un poco noto Imperatore Romano, del quale, tuttavia, sono stati recentemente scoperti alcuni interessanti scritti storici.
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