La luce della pittura di Castellani Floriano De Santi III. Realismo magico
Dopo aver saputo leggere con
adesione profonda negli spartiti rutilanti del futurismo, il
giovane Castellani aveva da mettere a frutto il patrimonio del
suo post-impressionismo. Paradossalmente, negli oli
Un
giardino a Cesena del '17 e
Ritratto
Castellani ha sempre amato Matisse più di Picasso; il rapporto vero, anche se non subito apparente, lo ha con lui, e fin dagli inizi della sua nuova pittura tonale. Mentre Matisse, però, mette in moto una girandola sfolgorante di colori puri, e la sua luce è abbacinata, violenta, gridante, Castellani accosta, quasi timidamente, in un sommesso mormorio, colori tonali, nei quali cioè la luce è soffusa, lenta, misteriosa e non si sa dove nasca se non da una sorgente sprofondata alle estreme radici della materia e affiorante, uniforme e smorzata, dopo aver attraversato oscuri spessori.
Preso l'avvio da quella
Erfindung, dall'invenzione di Matisse ridotta Mentre in tutta l'Europa la pittura approda sulle secche di un classicismo ricostruttore della forma, che sembra voler portare salvezza e ordine ai tempi perigliosi e caotici, Castellani, insieme a pochi altri, fa il più lungo passo possibile nella direzione contraria. Gli anni erano, in Italia, quelli dei «Valori plastici», poi della «Ronda»; si stava preparando il «Novecento», nasceva il fascismo. E tutti questi fatti, tra i quali corrono più strette connessioni di quanto solitamente non appaia, formavano una Stimmung culturale che, pur trovando il suo parallelo e forse la sua giustificazione in quella europea, ne rimaneva però superata quanto a impegno morale e risultato stilistico. Anche certe imprese, che potevano recare qualche autenticità di nascita, come «Strapaese», erano viziate dal «richiamo all'ordine» mussoliniano, dalla paura che si producessero turbamenti.
Comincia pure per Castellani una breve stagione di quadri «neoclassici» o, meglio, di «realismo magico», nei quali ogni cosa è immobile in un equilibrio così arrischiato che basterebbe un soffio a interrompere. Nell'Autoritratto del '25 e nel Ritratto di bambina del '27 non c'è solo la purezza dell'antica pittura italiana o la sostanza solida di una forma portata alla sua definizione più assoluta - come è stato ovviamente detto - ma anche, a volte, penetrato dagli interstizi di uno spazio che sembrerebbe a tenuta perfetta, l'alito leggero e inquieto di un'atmosfera magica. In queste e in altre opere (tra cui giova ricordare Ritratto del padre del '26 e Le stiratrici del '28, esposto quest'ultimo alla XVII Biennale di Venezia) (13), la linea percorre il colore gèmmeo e mentale separando nelle figure quanto, al contrario, è continuo nella tensione policroma del fondo.
Ciò avviene separando le
silhouettes, o non piuttosto facendo vibrare in una tensione
unica, in un campo magnetico metafisico, in obbedienza plastica
complessiva, l'accidente oggettivo? Qui traspare il gran
lavoro, l'intrinseca fatica di Castellani che cerca il proprio
definitivo ubi consistam. il realismo magico, sì - fino
allo stilema
È un rovesciamento, un revirement di termini risaliti lentamente fino alle fonti. Mentre la natura proseguita nella sua effettualità produce un'impressione, la natura risalita dalla sua casualità produce il valore duraturo di una cromia che si sta ideando mentre rimonta alle fonti stesse della visione. Ed è da dire che nell'idea in fieri la visione si stacca dalla mera casualità del motivo naturalistico. Ma bisogna aggiungere che in Castellani tale risalita alle fonti non implica un movimento progressivo quanto, nella sua lentezza razionale, una progressiva presa di coscienza storica, che serve non ad aderire con «grande autorità» al movimento del «Novecento» - come qualcuno sin troppo frettolosamente sostiene (15) - bensì a creare l'impianto della composizione per calarvi forme solide, indistruttibili, ben definite.
(12) Marco Valsecchi, Le sirene in città, Il Giorno, 23 marzo 1968. (13) Castellani ha partecipato con dipinti ed acqueforti alle biennali di Venezia del '26, del '28, del '30, del '34, del '36, del '48, del '52, del '54 ed, infine, del '56. (14) Silvia Sassi Cuppini, Leonardo Castellani e la pittura, “Notizie da Palazzo Albani”, n. 2, Urbino, 1985, p.29 (15) Pietro Zampetti, Pittura nelle Marche, Firenze, Nardini Editore, 1991
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