VITTORIO SANTINI: Maestro - Direttore / Ispettore Didattico Dolcezza amara di ricordi |
Indice analitico
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Ormai pensionato (giubilato) il Santini ricorda velocemente i suoi insegnanti, alunni, colleghi, maestri in subordine… In particolare ricorda una maestrina vivace e bellina dalle trecce bionde abitante nelle prime case di via Delle Mura in Urbino. La segue e consiglia nelle varie tappe del sua vita: supplenze, assegnazione di classi rurali, ruolo alla Pascoli di Urbino, aiuto segretaria, fidanzamento, nozze, figli… I figli lo chiamavano "nonno" suscitando in lui gioia e dolore; dolore per non avere nipoti data la morte prematura del suo unico figlio.
Nelle precedenti pagine ho tentato di fare dell'umorismo ma ne è venuto fuori un umorismo annacquato che non farà ridere nessuno. Ci sarebbe tutto da rifare o tutto da bruciare e non rifar proprio niente. Ma ormai la fatica di scrivere l'ho fatta e lasciamo le cose come sono; cosa fatta capo ha, dice un vecchio proverbio; tanto questo scritto, ripeto, lo devo leggere solamente io e per le ragioni indicate nella premessa. Ho presentato tipi curiosi di maestri coi quali ho avuto davvero a che fare ma,ripeto ancora,si tratta di figure eccezionali in senso negativo per la scuola; gente che non aveva gran che pensato nel darsi all'insegnamento, agli obblighi ed ai fini di sì nobile ministero, a] quale si erano dedicati senza vocazione di sorta, senz'altro pensare che procacciarsi di che vivere e prendendo il magistero educativo come un qualunque mestiere. Disgraziati! condannati ad un lavoro-tormento come diventa la scuola a chi non la sente nel cuore a chi la fa contro ogni sua aspirazione. Ma perchè,mi si dirà, non ricorda figure egregie di educatori? Questo sarebbe davvero il mio desiderio, ma ne ho conosciute tante tante di queste belle anime che hanno onorato e onorano tuttora la scuola, che mi sarebbe impossibile citarle tutte. Ci vorrebbe un numero sterminato di pagine e soprattutto,arte di bello scrivere e vena di poeta; due doti di cui la natura non mi ha davvero favorito. Ad ogni modo dedicherò queste ultime povere pagini a "egregie cose" che invoglino 1'animo a fermarcisi in sublime dolcezza di ricordi e mi ricreino in placida commozione di affetti. E' il ricordo di quei vecchi maestri che mi ebbero loro scolaro (non uno scolaro modello, uno scolaro comune) che mi iniziarono, fanciullo, alle bellezze del sapere e mi educarono a nobili sensi, benemeriti educatori che ho ritrovato dopo decenni parecchi nei medesimi posti, animati dallo stesso ardore educativo, proprio in quelle scuole che, adulto, il destino mi ha chiamato a insegnare a dirigere e dove ricevetti dai miei vecchi maestri manifestazioni di sempre immutato affetto temperato da quella deferenza che si deve ai superiori. Oggi queste anime di miei educatori e miei collaboratori sono svanite in un mondo senza morte e senza pianto sono al cospetto di Dio e ci si sono presentati con la pace di chi sa di aver degnamente compiuto la propria terrena giornata. Oh! come vorrei, come vorrei aver lasciato anch'io sì buone memorie! Onore ad essi e pace ai loro spiriti! Vorrei anche ricordare, ad uno ad uno, quegli insegnanti miei dipendenti che in un passato molto remoto furono i miei compagni di giochi (e ne ho avuto diversi) e insieme si correva a perdifiato come a inseguire una fuggevol meta… tempi che vedo tornare come da un morto mondo, tempi o vecchi miei amici in cui mai avremmo pensato di ritrovarci, adulti, uniti nello stesso lavoro come uniti eravamo negli stessi "garruli trastulli" nè io avrei mai sognato che sarei diventato un vostro superiore qualificato, legale, per dir così, un superiore però che vi ha sempre voluto bene e ve ne vuole come ve lo voleva
nell'età dei trastulli a cui rivola Ma non solo i miei vecchi maestri e compagni di giochi vorrei ricordare in queste pagine ma tutti, tutti gl'insegnanti che ho avuto alle mie dipendenze, fedeli, operosi compagni di lavoro che ho sempre considerato amici colleghi (sì colleghi perchè direttore, mai mi sono dimenticato di esser stato maestro ed esserlo anche nelle funzioni direttive) e fratelli; fratelli soprattutto, specie nei tristi giorni che lo strazio bussò alla mia porta per strappare al mio affetto persone care e tutti mi furono vicini solidali col mio strazio… colgo fiori, fiori di poesia a voi o miei collaboratori li mando sospirando. Sono i fiori dell'amore e del ricordo memore e riconoscente. E qui potrei fare un bel punto e chiudere questo dilavato scritterello, questa disordinata esposizione di pensieri che non ha altro merito che mostrare la gratitudine mia ai miei compagni di lavoro siano essi di questa città, siano di altre località, chiudere questo scritto e archiviarlo senz'altro fra le mie cianfrusaglie… Ma no sullo sfondo comune dei volti di quelli che furono i miei collaboratori, si stacca direi quasi isolato quello di una maestra che ho bisogno di ricordare anche a titolo di riconoscenze e della quale però non cito il nome per non offendere la sua modestia, una maestra che considero quasi una mia creatura perchè sotto la mia direzione mosse i primi passi del suo magistero educativo e che ho avuto sempre, cioè fino alla mia giubilazione, alle mie dipendenze e che fu da me avviata all'arte di insegnare (troppa presunzione la mia) e che sempre adempì i suoi doveri con vocazione e massimo zelo, la voglio ricordare anche perchè mi fu di preziosissimo aiuto in ufficio, dato che non avendo allora le direzioni didattiche i segretari, i direttori dovevano cavarsela da soli anche nel lavoro burocratico; ragion per cui l'aiuto di questa maestra mi fu veramente provvidenziale. Grazie o buona collaboratrice del mio buon tempo. Ancor oggi che sono niente e che vegeto fra la casa e le peripatetiche passeggiate, tu mantieni a mio riguardo sentimenti affettuosi che consolano la mia vecchiaia che fanno tacere gli spasimi della nostalgia,
che
sciolgono la tristezza d'ogni gelo come dice il poeta. Voglio ricordarti in questo scritto perchè è dolce,in mezzo al tormento di una vita prossima al suo termine, è dolce poter fermare il pensiero su affezioni pure, su visioni di felicità passata… Per me,che vivo in questo esilio che ironicamente vien chiamato giubilazione, il riandare a ritroso nel tempo e viverci sia pure col solo pensiero è una soave distrazione.
In una bella giornata settembrina del 1939 che ricordo come fosse ieri, io passeggiavo attorno alle mura castellane di questa mia cara città. Sempre care mi sono state queste passeggiate "peripatetiche" e ancor più care il farle solo in compagnia dei soli miei pensieri. Passeggiavo, e meditavo e poetavo. Non poetavo nel senso vero della parola perchè per poetare è chiaro, che bisogna esser poeti ed io non lo sono proprio. Se mi mettessi a far versi è cosa assai probabile che farei… versacci. Meglio poetare col pensiero che soddisfa il proprio animo e lo eleva a sublimi ideali. (fra parentisi: i versi che ho citato e che andrò citando in seguito non sono miei; troppo lusso. Li ho presi a prestito da poeti qualificati…) Passeggiavo adunque sotto un bel cielo autunnale
mentre
il sol dorava Ad ogni breve tratto ad ogni svolta della strada, mi affacciavo alle mura per ammirare le bellezze degli incantevoli panorami che si aprono dinnanzi in un scenario superbo ricco di vegetazione. Sono questi i panorami che ispirarono Raffaello bambinello, che ispirarono il più illustre allievo del vetusto collegio cittadino, Pascoli, ad eternare nella sua dolce poesia Urbino: O snelle vi saluto Torri d'Urbino. Vi riconosco o due sottili torri Vi riconosco o memori Cesane Folte di lazzi, cornioli, borri e d'avellane (Pascoli) Dinnanzi a questa natura con bellezze a dovizia l'animo mio si eleva con sentita religione aifc "Massimo Architetto" che ha voluto offrire alla mia città, madre di onorati nomi bellezze degne dei suoi illustri figli. E passeggiando pregavo così: Dovunque il guardo io giro Immenso Dio ti vedo Nell'opre tue S'ammiro Ti riconosco in me.
Ero partito dalla città alta o come si dice adesso dalla città nuova e discendevo per la strada "extra muros" che nella toponomastica locale prende la denominazione, non eccessivamente allegra, di "Via dei Morti" sebbene per quanto io mi sappia, nessuno sia morto nel passare o per passeggiare per quella strada; nemmeno la maestra di cui scrivo la quale un giorno la fece a precipizio in una bicicletta senza freni (ah 1'imprudente spiritatella) avrebbe potuto lasciarci la vita se la bicicletta non avesse avuto la buona idea di scantonare verso una greppata e ivi scaricarvi la poco felice pilota che se la cavò con leggere escoriazioni e forte paura. La natura che circonda questa strada dal lugubre nome non è meno bella di quella che circonda le altre come il "Giro dei Debitori" la " Croce dei Missionari" (ma che barbara inventiva avevano i nostri vecchi di dar nome alle nostre belle strade!) Ecco là sommo della salita dei Morti il pittoresco Montefeltro e S. Marino che svetta nell'azzurro… con le sue tre guglie; ecco una fuga magnifica di collinette che si rincorrono come onde di mare mosso fino all’imponente Carpegna e ai curiosi Sassi di S. Simone e poi ancora monti e colline degradanti verso il mare che, col bel tempo si vede in una striscia turchina perdentesi nel lontano orizzont. A fine discesa io rientrai in città per la porta di Lavagine ma non salii al centro, continuai il mio giro seguendo la "Via delle Mura" verso il bastione di S. Bartolo. Fatti un centinaio di passi mi fermo ancora a contemplare il paesaggio che del resto non doveva riuscirmi nuovo ma che sempre lo ammiro come non lo avessi mai veduto. Ho di fronte la Cesana che ha dolcissimi clivi a fiordalisi a lupinella a rosolacci a grano con le fanciulle dai purpurei visi con la visione adriaca lontana… (Rinaldi) Così ha veduta la Cesana il mio amico poeta Rinaldi, ma io il grano non potevo vederlo per la semplicissima ragione che a settembre il grano, chi non lo sa? non è più all'aperto ma sta ben chiuso nei granai e non potevo nemmeno vedere le fanciulle nè distinguere se i loro visi erano purpurei o pallidi data la distanza, ma di fanciulle ne avevo dietro le spalle e vicinissime perchè sono destato dalla mia contemplazione delle Cesane, della bramantesca chiesa di San Bernardino, del Petralata rosso e, a sinistra, del lontano adriaco mare più azzurro che mai dietro la valle logliense. Sono destato; dico, da un chiasso allegro di voci giovanili e femminili che mi giunge da una casetta addossata ad un muro di un orto alla quale io voltavo le spalle. La finestra ha una vecchia ringhiera di ferro al posto del davanzale, che mi permette di vedere dalle teste ai piedi,un grazioso gruppo di riccioli biondi e neri di ragazze che mi parvero ragazzette sorridenti e belline (già la gioventù è sempre bella e sorridente) che mi guardano con un certo interesse (mi si perdoni la presunzione e non si facciano supposizioni… sovversive). Mi avevano riconosciuto tanto è vero che mi salutarono con un cenno del capo e una di esse con un inchino tanto ben fatto. Pensai fossero scolarette di quinta che, bene educate dalle loro maestre, salutassero per paura o per rispetto, il "babau" della scuola (il direttore) Un babao del quale peraltro non sembrava avessero gran che di timore a giudicare dai loro visi allegri. Una di esse, quella dall'inchino, dal visetto scanzonato ma franco che giudicai dovesse essere la più bambina e che, a quel che mi era dato di vedere, presiedeva quella graziosa assemblea (e ne aveva ben donde perchè era la padrona di casa), portava due treccie di un biondo oro che scendevano dalla testa al collo al petto e di bel ornamento; aveva un volto dai lineamenti regolari e raddolciti da una espressione di sorriso aperto e, diciamolo pure, accogliente; aggraziata nelle forme, due occhi sfavillanti di una luce bianca azzurognola; labbra di vermiglio pallido… Lettore o lettrice (se ci sarài un lettore o una lettrice, ne dubito molto) bada a me che qui vado fuori strada; i nostri vecchi d'un tempo (dato che io sono un vecchio di questo tempo) non avevano tante sfumature di discorso, specie se illetterati, e quando vedevano una fanciulla sul far di questa sgranavano tanto d'occhi esclamando: «che bel tocco di ragazza». C'é del volgare in parte e in parte è sbrigativo ma per contro è sincero. E' una bella esclamazione che dice lì schietto schietto il senso fatto su di noi dalla vista di una graziosa persona e che ci dà la sensazione che avrà una certa parte nella nostra vita che in questo caso potrebbe chiamarsi amicizia duratura e sincera, E questo vai più di tutti gli artifizi del discorso, di tutte le ricercatezze della parola, di tutte le capestrerie della frase. Dicevo adunque? Ah! già parlavo della più bambina nel grazioso gruppetto, la quale mi rivolge il discorso in questi termini: «Signor Direttore, buon passeggio! Noi qui lavoriamo per lei». «Per me? - chiesi cadendo dalle nuvole - E dite, di grazia, quale lavoro vi ho io ordinato se vi vedo per la prima volta?» «Prepariamo domande e documenti per ottenere da lei supplenze nelle sue scuole». «Intanto le scuole non sono mie, le dirigo, ecco tutto e c'è differenza; e poi supplenze voi? Eh! le mie ragazze, ne dovranno passare degli anni prima che diventiate maestre! Siete così giovani!» E tutte in coro:«Lo siamo già maestre dal luglio scorso» «Ma no!» dico meravigliato. Ma la chiacchierina dai capelli biondi conferma: «Siamo maestre con tanto di diploma e lei dovrebbe saperlo (sono passato da ignorante) perchè siamo venute a fare l'esame scritto nel suo palazzo» «E dove mai ho avuto palazzi io? Quello ducale appartiene allo stato. Io possiedo una modesta casetta da bambole… » «Voglio dire lassù» E sporgendosi avanti, indica l'edificio delle scuo|e elementari che da quel punto si vede che troneggia sugli altri vecchi fabbricati. «Toh! e io che vi credevo alunne delle scuole elementari?… - Nuovo scroscio di risate - Maestre voi? Ma non avete paura che gli scolari vi mettano nei calamai? Badate che i ragazzi d'oggidì sono ammaliziati oltre il bisogno e se vedono in cattedra una di voi capacissimi, i maschi, invece di far compiti di farvi dichiarazioni d'amore». Il viso della oratrice si compone a serietà: «Non attaccheranno, no! Li metteremo a posto noi i suoi intraprendenti ragazzi! (Ti metteranno a posto loro, o graziosa fanfarona! Tu non li conosci ancora i ragazzi, pensavo io) A questo punto una donna compare in una finestra vicina della stessa casa. Era la mamma della chiacchierina dalle treccie la quale si profuse in iscuse che quella "sfacciatella" della figlia avesse osato… E la rimproverava con una rustichezza amorosa… Ma la "sfacciatella", per nulla impressionata dei rimbrotti materni, seguitava a ridere imitata dalle altre; ma non era un riso canzonatorio e strafottente ma un riso cordiale… «E non si vergognano nemmeno di un direttore… le scusi…» «Ma perchè vergognarsi? - dico io - in fondo non fanno e non dicono nulla di male e in quanto a scusarle rendo grazie a loro… Un bagno di buon sangue giovane fa sempre bene a chi come me si è allontanato da un pezzo dalla gioventù. Ed in questi minuti di conversazione con coteste belle figliole l'ho gustato di cuore questo bagno. Arrivederci signora e a voi ragazze un arrivederci cordiale e buon lavoro per… me». «Si ricordi di noi - è sempre la riccia bionda che parla - Ci aiuti che abbiamo bisogno di guadagnare». «Intanto avete guadagnato la mia simpatia; non è molto ma il resto,se Dio vuole, verrà in seguito». E continuo la mia passeggiata (non si faccia caso se nel raccontare io passo indifferentemente dal tempo passato a quello presente; gli è che questi fatti che racconto talvolta mi sembrano vicinissimi tanto sono fissi nella memoria, talvolta li vedo lontani quasi come una eternità). Ma… quant'é bella giovinezza che si fugge tuttavia Andavo ripetendo pensando al colloquio con quelle ragazze.
Qualche giorno dopo ricevo domande e documenti dalle mani di quelle stesse ragazze. Nuove cordialità e passaggio delle scartoffie agli atti, je simpatie sono simpatie ma la legge è la legge e nell'assegnare le supplenze dovevo seguire una graduatoria nelle quale le ragazze non erano fra le prime appunto perchè novelline. Ma ritorniamo alla biondina. Seppi che era ammalata piuttosto gravemente. Guarì e, venuto il suo turno di nomina, la mandai a chiamare per l'assegnazione della desiderata supplenza e per darle le relative istruzioni come capii che ne aveva di bisogno. Mi si presentò sempre sorridente ma un po' palliduccia per la trascorsa malattia e, cosa nuova, erano sparite le treccie e i capelli ravviati a zazzera le davano una cornice di viso direi quasi ancor più giovanile. Quando le dissi che le affidavo una scuola rurale superiore dove c’erano dei ragazzi sviluppateli e vivaci, non si impressionò granché delle difficoltà che l'aspettavano; mi ringraziò ridendo allegramente, felice, gioiosa, lusingata. Mi disse che avrebbe fatto tesoro dei miei consigli anzi li avrebbe spesso richiesti come infatti in seguito fece, così dovrebbero fare tutti i maestri(specie i giovani che feanno maggior bisogno di guida altrimenti il direttore che ci starebbe a fare? solo per controllare? poca e povera cosa! Aggiunse che,sé io volevo, si sarebbe messa a mia disposizione anche per i lavori d'ufficio. Se io volevo? Ma era l'olio alla mia povera lucerna! Avevo sulle spalle la direzione delle scuole di due circoli, una zona che oggi è diretta da quattro direttori con altrettanti segretari ed io ero solo solo e perciò provvidenziale e prezioso mi giunse questo aiuto che, oltre a tutto, portò nell'austerità dell'ufficio direttivo nella freddezza dei lavori burocratici un soffio di vita giovanile meno materiale, più sorridente , più allegra. una buona figliola davvero; obbediente, rispettosa tutta premura. Imparava subito i segreti della burocrazia, non trovava scuse ai suoi inevitabili errori e, se mai, ai miei rilievi ci metteva sopra un piantarino (cosa strana in una ragazza tutta allegra, ma le lagrime denotavano anche la sensibilità del suo cuore) poi tutto passava e non erano trascorsi pochi minuti, che si ritornava buoni amici. Le domandavo anche notizie della scuola ed essa mi rispendeva con qualche monosillabo o qualche scrollatina di spalle come le pesasse di dover confessare che ancora non si sentiva del tutto a posto o non completamente soddisfatta; scrupolo che spesso tormenta chi adempie i suoi doveri con coscienza retta.
SCOLARI INNAMORATI (dello studio? ohibò della maestrina) Un giorno decisi di fare nella scuola della nostra maestrina la cosidetta "visita didattica” Nella strada che conduce alla scuola raggiungo un gruppetto di scolari che confabulavano fra loro e si colpivano con le cartelle nelle schiene; per gioco beninteso. Non mi riconobbero. Mi accompagnai con loro e intavolai una conversazione chiedendo loro come andava la scuola, com'era la maestra, se giovane o vecchia se bella o brutta, se buona o severa. «E' bella e bella e buona e buona!» esclama uno di essi. «Si buona con te - dice un ragazzetto ben formato e sviluppato con una faccia da sbarazzino che consolava - Buona con te perchè le fai molte moine, ma con me è "cruda"…» «Perchè tu sei cotto e tristo fraido…» «Già tu non la fai arrabbiare, si capisce, sei di essa innamorato…!» «E tu più di me, e se la fai arrabbiare lo fai perchè ti castighi di stare a scuola quando noi siamo usciti, perchè vuoi star solo con essa mentre attende l'automobile che la riporta in Urbino (Ma guarda, dicevo fra me, quante ne pensano questi mocciosi, e come sono precoci nell'iniziarsi al fuooo della passione amorosa). Avrei voluto dire il fatto loro ma il presunto innamorato non me ne diede il tempo perchè continuò: «… Sabato ti sei buscato da essa quattro schiaffoni perchè volevi baciarla (nientemeno!) e ieri hai menato Crescentino perchè la maestra a scuola gli aveva fatto una carezza perchè aveva detto bene la poesia. Sei anche geloso. (Ah! maestrina! prudenza, prudenza!)» E l'altro di rimando: «Non è vero niente. Si mi ha dato i "mustaccioni" ma solamente due perché mi piaceva di baciate non la signorina ma la Madonnina che lia tiene attaccata al collare (chiamare una catenina. dove era appesa la Madonna un collare era un po' grossa mi pare) e a Crescentino l'ho bastonato perchè ha detto male proprio della signorina e io volevo difenderla perchè è tanto buona!…» (prima aveva detto che era "cruda",adesso, è buona). «E che cosa aveva detto» - chiesi io incuriosito. E lui pronto e corrucciato: «Aveva detto che la maestra è una "sgrignona" perchè ride sempre e poi castiga noi quando abbiamo riduto. Tutte bugie di Crescentino» «Ma ragazzi - intervengo finalmente io - ma non mi avete ancora riconosciuto? Non vedete che sono il direttore?» «Io l'avevo riconosciuto» dice uno di essi che mai aveva parlato. «E anch'io!» aggiunge un altro. Adesso tutti mi hanno riconosciuto. Avverto che ero da poco tempo direttore di e poco ero stato in quella scuola.Lì per lì mi dovevano aver preso per un fattore. «Sono il direttore e mi meraviglio dei vostri sciocchi discorsi». Intanto mando la maestra in un'altra scuola e qui manderò un maestro che (ero per dire "non vi farà innamorare") vi tirerà bene le orecchie e vi farà rigar diritti». Sorge un coro di proteste: «No no, non ce la porti via; le vogliamo bene; non la faremo inquietare; poi non è vero quel che han detto loro (i presunti innamorati)». Siamo arrivati nella povera casa dove è allogata la scuola. Una stanza di fortuna malamente illuminata con banchi dei tempi di Noè ma tenuta con dalia maestra proprietà e decoratà con buon gusto e semplicità. La maestra, che non si aspettava certo la mia visita (non ho mai preannunciate le mie visite) si fece rossa, mi venne incontro con effusione di sorriso temperata da innocente timore. (Si sa, le visite dei superiori sono sempre considerate molto a sproposito; peraltro, come l'arrivo della… grandine e perciò più che naturale la preoccupazione degli insegnanti specie se alle prime armi) Della visita dirò solamente che trovai tutto in ordine ed i ragazzi ben preparati e disciplinati. Ad ogni elogio che facevo alla maestra o agli scolari questi ultimi guardavano con compiacenza lei quasi per dire: "E' contenta?" Notai che c'era fra ragazzi e insegnante comunione d'anime e che i presunti innamoramenti erano… opinioni o per meglio dire, smargiassate di ragazzi; e questo l'avevo capito anche prima di entrare in iscuola. E' ovvio, capii che la maestra, era oggetto di affetto sincero da parte dei suoi allievi, che essa tutti li amava indistintamente, buoni o vivaci, che nessuno dei suoi scolari sfuggiva alle sue cure ed alle sue attenzioni e se maggior interesse ci poteva essere per qualcheduno questo era per chi aveva maggior bisogno, voglio dire per i meno dotati di comprendonio, in omaggio ad una delle migliori massima pedagogiche: curare i più deboli. Sentii in quella scoletta rurale quella che io chiamo la "poesia della scuola". Era veramente una"scuola attiva", una comunione d'anime univa maestra agli scolari e viceversa. Intendiamoci: non che ravvisassi nella maestra la "perfezione"; la cosa del resto non sarebbe stata possibile malgrado ogni ottima volontà dell'educatrice che era si può dire alle prime armi, e poi perchè nel campo dell'attività scolastica la perfezione è un mito anche per i più consumati insegnanti anche per i dirigenti (e come sentivo io di non essere perfetto in fatto di didattica!) Ma lasciamo queste riflessioni e ritorniamo alla nostra insegnate e alla sua scuola. Ad un certo momento dissi scherzando e strizzando l'occhio:<< «Che direbbe signorina se io la togliessi di qui e la mandassi a far scuola a S…» E lei: «Disposta sempre all'obbedienza». Nuovo coro di proteste da parte di ragazzi: «No, non ce la porti via; le vogliamo tanto bene! E poi - dice uno dei più piccoli - ci spiega tanto bene! ci chiama "cocchini" ci accarezza… (ai più piccoli si capisce)» «Ma voi la fate inquietare» dico io con una severità affettuosa. «Beh non sono cattivi - interviene conciliante la maestra - sono un po' vivi, ma li compatisco perchè anch'io da fanciulla ero un follettino vivace che facevo impazientire la mamma perciò porto pazienza». I ragazzi si mettono a battere le mani e la maestra, preoccupata per la mia presenza a tale dimostrazione teatrale, dice severa: «E questo che cosa significa? Siete matti?» Ed io,conciliante a mia volta: «E' una bella dimostrazione d'affetto: mi piace. - E ai ragazzi - «E allora tenetevela la vostra maestra vogliatele bene e siate buoni…» «Se potremo!…» dice franco il più sbarazzino. «Già anche S. Filippo la pensava così… Ma bisogna potere perchè ad essere buoni non occorre tanta fatica e nemmeno molta intelligenza». «Salutate, dice la maestra mentre io mi avviavo verso la porta, il signor direttore, ringraziatelo della gradita visita e ditele che ritorni presto». I ragazzi con un po' di confusioni di voci eseguono: «Grazie e buon arrivederci». Esco contento. Come fa piacere ad un direttore uscire da una scuola dove si è trovato quel che si desidera trovare e non essere costretti a far rilievi, rampogne e,qualche volta, rimproveri. La maestrina nel cui viso leggo la contentezza di questa sua prima, chiamamola, vittoria o soddisfazione, mi accompagnò fino alla porta della strada! Dall'aula ci giungeva la "boschereccia" dei commenti dei ragazzi. Le dissi ancora parole di incoraggiamento e ci lasciammo. Ma… ma io non mi sentivo di finirla così, ragion per cui tornai indietro, risalii la scale senza far rumore (e col rumore che c'era nella scuola come mi si poteva sentire?) per ascoltare i commenti. Giunto alla porta aperta che era in fondo all'aula osservo, non veduto giacché tutti mi voltavano le spalle, il quadro che mi si offre agli occhi. Nessun ragazzo è al suo posto, tutti intorno alla maestra in cattedra, tutti parlano a una voce: «Ho risposto bene io signorina?» «Io tremavo forte ma lui mi rideva…» «Ho letto bene io?» «Ha me ha detto che debbo dare più "espansione" nel lettura» «T'ha detto più espressione». «E' lo stesso» «Non è niente lo stesso» «Le ho dette bene le tabelline?» «A me ha detto che in geografia sono un cannone» «Lei signorina tremava noi no». (Già, di solito alle visite dei superiori tremano gl'insegnanti specie se di sesso gentile, gli scolari si acclimatizzano alla presenza del direttore) Uno scolaro dice che io sono più buono del pan fresco. Un altro fa la proposta di farmi un regolo quando ritornerò. La proposta è approvata per acclamazione. Ha voglia maestra a ripetere "zitti, zitti" tutti vogliono dire la loro: c'é chi vorrebbe regalarmi un cestello di uova, chi un paio piccioni, questo un sacchetto di fagioli nostrani, quello è per le patate… Ma una ragazzetta meno… panciafichista e di un modo di vedere più gentile e più… decorativo avendo forse notato che la mia cravatta doveva essere un po' lisa (non sono mai stato un "arbiter elagantiarum"), propone senz'altro di regalarmi una cravatta nuova.«Ma di che colore?» chiedono alcuni; e un ragazzotto che deve intendersi di moda (come può in tendersi un contadinello) proclama a gran voce: «Scaccata! (chiaro che voleva alludere ad una cravatta a scacchi). Tutti ridono e rido forte anch'io tanto che i ragazzi si voltano dalla mia parte e segue un fuggi fuggi generale per raggiungere i propri posti. Per salvare la mia posizione dico alla maestra: «Questa sera si faccia vedere in ufficio». In quel momento arriva il fratello della maestra accompagnato da un giovinotto che porta una bella macchina fotografica a tracolla (seppi poi che quest'ultimo spasimava per lei tanto è vero che dopo qualche anno erano "sposi felici" e allora mi trattengo per far parte del gruppo fotografico riportato in copertina. Questo fu il primo incontro tra la maetrina ed il suo indegno superiore. In seguito feci altre visite in quella ed in altre scuole dove essa insegnò e sempre accolto quasi a festa dai suoi scolari e senza mistura di infondati timori, come spesso ho notato al mio apparire in altre scuole, dove gli insegnanti, credendo di far bene, mettono addosso agli scolari una paura matta del direttore che verrà ad interrogarvi e se non vi comportate bene, se rispondete male, tremate pure che lui non scherza…; come fossi l'orco della favola. Questo modo di preparare gli animi degli scolari alle mie visite mi ha sempre urtato perchè avrei voluto portare sempre un raggio di gioia e non un moto di paura. A proposito ricordo un episodio che non riguarda la maestrina di cui fino adesso ho parlato. Un giorno salivo le scale di un'altra scuola rurale e sento dentro l'aula la maestra (una brava maestra, del resto) che catechizza così i suoi scolari: «Badate che fra poco entrerà qui il direttore. E' nell'altra scuola, comportatevi bene, non chiacchierate in sua presenza, comportatevi insomma come se foste davvero dei ragazzi per bene; ("come se" perché? Forse perchè normalmente non lo erano?) rispondete franchi, nessuno suggerisca che lui ha gli orecchi buoni, non dite minchionerie e buoni, buoni, buoni, "se no ve magn"( altrimenti vi mangno in buon toscano!) «E buon appetito» dico io entrando ridendo e pensando che la maestra dovesse avere uno stomaco di struzzo. Maestra e ragazzi però non ridono; si sono alzati e restano lì impalati muti dalla sorpresa e dalla vergogna, la maestra quasi sviene (e sì che si trattava di una maestra troppo sensibile e troppo propensa alla paura!). I ragazzi, superato il primo momento di emozione si fanno il segno della Croce come quando, mi chiarisce poi la maestra, entra il parroco per l'insegnamento religioso. Poi, una certa agitazione si manifesta, ma io prendo un tono di voce tutto particolare per tranquillizzare i ragazzi con l'aspetto e il contegno non del "babau" ma di un buon nonno che vuol raccontare fiabe ai nipotini. Tutti si tranquillizzano, uno stato di tranquillità subentra in tutti e la visita che minacciava di andare verso il disastro appunto per una specie di "choc nervoso" creatosi appunto per il discorso e le minacce della maestra e per il timore di me, la visita, dico, diede sa buoni risultati e tranquillità generale. Quando la maestra venne a firmare il verbale mi confessò candidamente che alcuni scolari le avevano detto di me: «E' più buono di lei». «Diamine! Questa volta l'orco o l'orchessa avrebbe dovuto essere lei dato che aveva promesso di mangiarli».
Una volta nella scuola della mia "maestrina" trovai facente parte della scolaresca un… cane. Un cagnone bello e buono che, serio serio, stava seduto in un banco libero vicino al suo padrone, perchè si trattava del cane di uno scolaro, che seguiva il padoncino anche in iscuola, dove da lui e dai compagni, nell'ora della merenda, buscava sempre qualche cosa da mettere fra i denti. Non dava fastidio alcuno, non disturbava la lezione e mugolava solamente quando gli occupavano il posto. Il che avveniva di rado perchè si trattava di un posto in soprannumero. Al mio apparire i ragazzi si alzarono; lui no; lui mi guardò in… cagnesco ma non mi fece sgarberie di sorti. Ad un'altra mia visite vidi che il cane non c'era ma qualche momento dopo, mentre io parlavo con i ragazzi, la porta si aprì violentemente come spinta da "manu militari" ed era invece la zampa del cane che entrò mogio mogio guardandomi come per chieder scusa del ritardo. Una terza volta il padroncino, me presente, gli somministrò sulla schiena una buona dose di cazzotti perchè con la coda gli faceva solletico nelle gambe nude. Io intervenni in favore del malcapitato, accarezzai la bestia che aveva incassato senza ribellarsi colsi l'occasione per fare una lezioncina di zoofilia sul rispetto che si deve agli animali specie se utili e amici dell'uomo cominciando dagli uccellini ai quali,malgrado la loro bontà e utilità, si dà una caccia spietata e i ragazzi li tormentano fin da quando sono nei nidi. Non mancai di ricordare il noto episodio dell'agnellino di Garibaldi e l'altro meno noto dell'uccellino che fece scappare dalla gabbia dove 1'aveva rinchiuso il figlio con queste parole: "E ricordati Manlio che a casa Garibaldi ci dev'essere libertà per tutti" Quando la lezione finì il cane, in segno di riconoscenza e prima di andarsene, mi strofinò il muso nei pantaloni, scodinzolando allegramente. Agli esami finali si presentò anche il cane ma dovette limitarsi a fare buona guardia alla porta perchè non fu ammesso per timore forse che i ragazzi copiassero le prove d'e same da lui. Però 1 ragazzi non ebbero bisogno di… plagiare da un cane perchè erano abbastanza preparati e superarono benone le prove con gran loro soddisfazione e non dico quanta quella della maestra. Ricordo che dopo gli esami si fece insieme una merendina all'aperto; modesto ma allegro simposio dopo la nostra giornata di fatica. La maestrina fu la più allegra e, debbo proprio dirlo, bevve più del consueto il vino buono che annaffiava nostri cibi e ci divertì coi suoi discorsi improntati ad una semplicità quasi fanciullesca. C'era con noi;in qualità di commissaria d'esame, una maestra non più giovane ma non anziana che si divertì molto. Verso il tramonto ritornammo in città a piedi (non si trattava di una gran lontananza) chiacchierando e cantando qualche canzone della "bella epoca" senza "urlare" come si fa oggi, direi quasi alla sordina. Ad un certo punto la maestrina si ferma, mi guarda con gran tenerezza e: «Sa, signor direttore mio, che io le voglio un gran bene?» Altri avrebbe potuto prendere queste parole come una dichiarazione d'amore ma nel caso nostro non era nemmeno da pensare lontanamente ad una tal supposizione per moltissime ragioni prima delle quali che avrei potuto essere benissimo suo padre, poi io portavo la fede al dito e ben visibile ad occhio nudo anche a chi ha alzato un po' il gomito, anzi questi ne avrebbe vedute due e infine per la ben nota serietà della ragazza, Poi… c'erano molti altri "poi" tal che potei rispondere senza tema di errare in questi termini: «E già quando si beve del buon vino e non ci si è abituati come te si finisce con lo spararle ben grosse…» «No è la verità, perchè le voglio bene come a mio padre» «Dando un po' di tara, beninteso». Ma ne fui contento e lusingato. Lei rise, perchè il ridere era per la ragazza una necessità. Un riso simpatico, non sciocco, un riso che fa buon sangue e lo fa fare a chi è vicino
Ma, purtroppo, la vidi anche piangere disperatamente in luttuosi strazi per la morte dei suoi amorosi genitori e, ripeto per qualche mio rimprovero. Sì qualche volta la feci piangere anch'io, ma non certo con cattive intenzioni da parte mia. Ora quei pianti mi perseguono come rimorsi. Ma la maestrina (ora maestra senza 1'ina) penso che mi avrà perdonato perché deve sapere che l’ufficio del comando guasta talvolta anche gli spiriti più propensi all'indulgenza, come avrei voluto essere io… Una volta, debbo proprio raccontarlo? (non si corrucci la mia maestra tanto questo scritto nessuno lo leggerà e poi si tratta di errori giovanili perdonabili, perdonabilissimi…). Una volta era stata incaricata di fare una supplenza in città; e la fece come al solito, molto bene e con coscienza. Arrivava tutte le mattine a scuola puntualissima, anzi con qual che anticipo sull'ora fissata; e, come fosse stata una bambina di prima veniva accompagnata dalla mamma e, ohibò, dal fidanzato, l'attuale suo marito, e fin qui coi tempi che corrono niente di male. Ma l'inconveniente, se di inconveniente si può parlare, stava nel fatto che si fermavano dinnanzi la porta in attesa che il custode l'aprisse e lì a parlare, e lo si intuiva dall'espressione dei loro visi, di cose… dolci e sotto gli occhi dei ragazzi che attendevano di entrare in classe. Il portinaio un vecchio brontolone e puritano all'antica, mi avvertì che i ragazzi ridevano d questo fatto, gli accompagnatori commentavano non troppo benevolmente… che una cosa così non doveva essere permessa davanti una scuola e per opera di una maestra e che era un mezzo scandalo (meno male che non era intero) che io dovevo intervenire. E, così pressato, intervenni. Al primo mio blando avvertimento la maestra, more solito, sorrise, al secondo diventò seria al terzo chinò il viso e proruppe in pianto. Ebbi però la soddisfazione di vedere che i miei interventi sortirono effetto, perchè la mattina dopo i due erano allo stesso posto a commentare i miei richiami, suppongo. Fu la prima ma anche l'ultima sua disubbidienza. Tutto si perdona e anch'io perdonai tanto più che quel giorno era l'ultimo della supplenza e nei giorni successivi veniva sì a lavorare in ufficio nel pomeriggio e non accompagnata, perchè il suo spasimante, un artista collega del fidanzato di Margaret, in quell'ora era al "travaglio usato".
Qualche tempo dopo la maestrina si cimentò nel concorso magistrale e, come era da prevedersi, vinse ed entrò, ancor giovanissima, in ruolo. Continuò, continua tuttora, e con la stessa fede e con lo stesso zelo,ad assolvere i suoi doveri di maestra e con accresciuto amore per i ragazzi ai quali si sentì più vicina attraverso il sentimento della maternità; sì perchè oggi la "maestrina" è sposa felice del suo artista che è anche dotato di una bella voce, è madre di due amori di bimbi; un bimbo e una bimba… A proposito voglio raccontare anche questo curioso episodio. Il suo matrimonio fu celebrato con gran festa di genitori, parenti e amici. C'ero anch'io che lessi i dispacci augurali. Ad un certo momento la sposina che in piedi ascoltava, seria gli auguri che io annunciavo, sparisce sotto la… tavola e si rivede uscire dalla parte opposta e correre verso una vecchietta che accompagnata faceva il suo ingresso nella sala del ricevimento. Era la nonna paterna della rispettabile età di novantacinque anni che la sposa sposina abbracciò con la massima tenerezza. Per la bisogna essa aveva seguito la strada che ho detto per far più presto, mostrandosi bambina anche col vele nuziale. I bimbi della maestra di cui parlo mi onorano della loro… amicizia anzi mi chiamano senz'altro "nonno" e ciò mi fa piacere perché il destino fatale con la morte del mio unico figlio mi ha privato della consolazione di diventarlo come avrei proprio desiderato di cuore. La bambina è una allieva di… seconda elementare; molto brava, scrive pensierini aggraziati e di gran sentimento, una bellissima calligrafia che sembra stampatello; ordinata ed esatta in tutte le sue cose; il maschietto o maschiotto perché, pur essendo più giovane della sorella, di essa è più alto e più corpulento, è alle prese col "metodo globale" perchè fa la prima e, sebbene non possa misurarsi con la sorella in fatto di esattezza pure è brava, anche lui e nei suoi compiti scolastici non soffre aiuti da nessuno; vuo] far tutto da solo e quando gli garba di fare… ma fa bene e a grande velocità. Eccoli nella fotografia della copertina. La bimba faccetta carina aperta espressione di gentilezza e bontà; il maschio faccia de scanzonato menimpippista; è un pagliaccione pieno di risorse comiche da muovere l'allegria di chi lo osserva; buono anche lui ma di una vivacità a prova di bomba. La mamma dice che i suoi bimbi sono "vivaci", ma vivaci secondo l'etimologia della parola vuol dire"vivi" e guai fossero il contrario. La maestra attualmente insegna nella stessa zona dove iniziò i suoi uffici Magistrali or sono vent'anni. Un giorno le chiesi: «Che ne è dei tuoi scolari di allora?» Mi rispose: «Sono omoni e massaie carichi di figli che per la maggior parte sono miei scolari». «I maschietti sono innamorati di te come lo erano i loro babbi?» «Mi vogliono bene - mi rispose con bella semplicità di parole non senza arrossire un poco» «Non possono non volerti bene…» «Non come dicevano i loro babbi; e poi ora sono vecchia, ho qualche capello bianco (non è vero o non si vedono) e non posso destare sentimenti passionali se pur era vero quello che gli scolari dicevano allora… Ma i loro figli sono molto più vivaci di quel che erano i loro genitori… Ora coi ragazzi non è tanto facile combattere… «Già si tratta di "gioventù bruciata"» «Non sarà nemmeno per questo dipenderà dal fatto che invecchiando…» «Ti prego non parlar così perchè per me sei sempre la "maestrina" di quel tempo, del mio, del nostro buon tempo e come allora ti vedo oggi e ti vedrò finché ci… vedremo». «E sia per lunghi anni…!» «Per te certamente, ma per me che sono alle ventitré e tre quarti… c'è poco da contare».
Oh! dolcezza amara di ricordi! Dolcezza per ricordi veramente cari, amara perchè turbata da sconfortante nostalgia che in certi momenti tutto mi prende fino a darmi l'impressione che gli anni passati nella scuola siano trascorsi in un lento languore di sogno. Nel ricordo di quei beati tempi che vedo talora lontani avvolti in un velo di nebbia, talora vicinissimi irrorati di poetica rugiada e illuminati di raggi solari; nel ricordo di tante generazioni di ragazzi che sono passati sotto i miei occhi di maestro e di dirigente; nel ricordo di tante figure di nobili educatori compagni della mia fatica, traggo 1'aiuto ideale di discendere la fiumana della vita; e se il passato è per me un sogno prego Dio che questo sogno non abbia un risveglio alla realtà presente, desidero, ardentemente desidero che questo sogno sia la santa poesia e l'ultimo bisogno dell'esistenza mia.
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