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GERMANA DUCA RUGGERI: hanno detto su Tessere

 Anna Elisa
De Gregorio
Caterina
Camporesi
Gastone
Mosci
Giancarlo
Cecchini
Luciana
Montanari Veltri
Maria Grazia
Maiorino

 

Tessere il tempo:   “Tessere” di Germana Duca Ruggeri
edizioni Piero Manni, Lecce 2004, € 15,00.
di Anna Elisa De Gregorio

 

La copertina del libro ci suggerisce in foto un telaio trapassato dalla luce con dei fili preparati fra i licci per la tessitura. E in alto, un po' inquietante, una spola caricata di rosso.

Fili che si intrecceranno per tessere il tempo, per parlare di storie attraverso la memoria. Con i suoi chiaro-scuri. Questo (per continuare con il gioco della tessitura) il filo conduttore del libro, che per strada già si è arricchito di un premio, il “Falconarti 2005” per la narrativa edita.

Cronache: parliamo di “Tessere” cominciando dalla fine, così che le ultime cose lette diventino le prime. La seconda parte del libro, infatti, è un carnet di viaggio, dall'88 al 2001, e termina con l'attentato alle Torri Gemelle. Appunti presi, si può immaginare, ad un tavolino di caffé o in una stanza d'albergo o anche a scuola, durante gli intervalli. Note volanti che scorrono il tempo, che parlano certo di luoghi esotici, di arte, di mostre, di natura, ma soprattutto di poetiche intuizioni, di rimandi personali, di riflessioni su un mondo che cambia, caratteristiche distintive della scrittura di Germana Duca Ruggeri.

Tutto questo mi ricorda lo scrittore e poeta Cees Nooteboon, che nei suoi libri di viaggio parla di “stanze dell'anima” e di “pellegrinaggi interiori”. Anche lo stile da taccuino, da diario, che forse rimarrà nel cassetto o forse no, è vicino a quello di Cees Nooteboon. Il viaggio è libertà e Germana adotta questo stile anche nella scrittura, a volte colta e precisa nei riferimenti, nel nominare luoghi, monumenti, vie, più spesso familiare, informale, un po' ironica, un po’ poetica (“me ne avvolgo un raggiolino intorno al collo”). Briciole di zucchero e briciole di sale. Come non pensare al dialetto, la lingua familiare per eccellenza. E' il momento di aprire una parentesi per ricordare i due precedenti libri di poesia di Germana Duca Ruggeri: “Distanzainstanza” del ‘99 e “Ex ore” (Marsilio, 2002). Quest'ultimo in dialetto urbinate. Ecco che tutto si collega, tutto circolarmente si spiega.

Racconti: e adesso possiamo tornare all'inizio del libro, cioè alle cinque “tessere” che occupano la prima parte, tasselli che hanno come protagoniste piccole donne prese nella loro “terra di mezzo”(a parte l'ultimo che appare un po' slegato dagli altri), in quell'età in cui si è considerate né carne, né pesce, quasi invisibili agli adulti.

Ritratti minuti di minute realtà quotidiane, che appaiono straordinari perché raccolti in uno stile intimo, attraverso un pennello attento ad ogni variazione del tempo e degli umori, sensibile come il naso di un maestro di profumi, che si sposta lungo tutto un decennio, quello degli anni cinquanta.

I nomi cambiano, ma è un solo personaggio che si guarda allo specchio e riflette le avventure a volte tragiche (“Non scappo io”), a volte ironiche (“Mutatis mutandis”) e le ribellioni (“Senza lenti”) delle ragazzine che tutte noi siamo state.

Anche i luoghi dove queste vicende trascorrono sono una “terra di mezzo” fra campagna e città, hanno i profumi e le contraddizioni dell'uno e dell'altro luogo.

Sembra d'essere all'inizio del secolo scorso, in un tempo lontano lontano e, invece, girando le pagine, ci accorgiamo che tutto ci appartiene, tutto è stato nostro e rinasce limpidissimo nella memoria.

Alla fine abbiamo letto un unico lungo racconto commosso, un riconoscimento di come eravamo, recuperato nel miracolo della scrittura.

Scrittura sempre concreta, tersa, solo all'apparenza minimale, fatta di precisi rimandi che ogni volta ci riportano lì, in mezzo al cuore che batte, che ha il colore rosso di quella spola di telaio a forma di mandorla in copertina.

Stringhe: fra l'uno e l'altro dei cinque racconti, quasi a legarli insieme, leggiamo delle notazioni, degli ex ergo molto belli, che ci riportano alla Germana poeta; colpiscono per profondità e rigore. Li nominiamo qui alla fine di queste brevi considerazioni non a caso: sono come l'essenza e l'anima di tutto il libro, danno la misura della conquistata leggerezza di toni usata nei racconti, dove tutto è implicito, evocato. E della capacità della scrittrice di cogliere “la mandorla” interna alla vita, propria dei poeti.

 Anna Elisa De Gregorio

 

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su:  P.E.N. Clubitalia di Caterina Camporesi

link: http://www.penclubitalia.org/pages/sottopag_libri-2005a.htm

 

Tessere" è la prima raccolta di racconti di Germana Duca Ruggeri, che ha già al suo attivo due libri di poesia, l’ultimo dei quali "Ex ore", in dialetto urbinate, edito da Marsilio nella Collana "Elleffe" diretta da Cesare Ruffato.
Composto da due parti: la prima contiene cinque racconti che narrano le vicende dell’infanzia e dell’adolescenza negli anni Cinquanta e Sessanta nelle campagne delle Marche; la seconda una sorta di diario che si riferisce agli ultimi venti anni quando la protagonista è già insegnante moglie madre.
Un libro di memorie quindi, poiché attraverso di loro, non solo si sottrae il passato all’oblio e alla cancellazione ma, rielaborato ogni volta, confluisce nel presente trasformandolo. La memoria è un elemento corporeo, testimonianza concreta del passaggio del tempo, che attraverso la ripetizione narrativa rischiara punti oscuri: "Siamo chiamati a tessere trame nuove su antichi orditi ridisegnando più volte noi stessi", dichiara l’autrice in uno degli esergo che precedono i racconti. Quando il passato non ha più testimoni viventi, esso esiste solo nei documenti e nei libri. Nella mutata percezione delle categorie di spazio e tempo la memoria è ora delegata alle funzioni del computer: tutto tende così ad appiattirsi sulla superficie, dando l’illusione di vivere in uno stato di eterno presente senza ricordi e desideri. [...]
[...] L’autrice mantiene nelle variazioni espressive e nell’intreccio di meditazione e incanto un costante controllo della lingua e della sintassi. La fiducia nella parola è assoluta e totale così come l’abilità di combinare ogni tanto fra loro le parole, in modo che sprigionino nuovi significati.[...]

Caterina Camporesi
(dalla Rivista "Graphie)

 

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su:  P.E.N. Clubitalia  di Gastone Mosci

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[...] Questa lettura mi permette di entrare in "Tessere" dei giorni che la Duca produce, tessere come istantanee che si succedono: una dopo l'altra, qui, con cinque racconti e undici cronache, un diario serrato. La prima sezione, i racconti, è narrazione e riflessione, sviluppo di eventi e richiami alle ragioni della vita e della letteratura. Ogni brano è accompagnato da un esergo, un monito, secondo questo sviluppo: il racconto come ricordo e come invenzione, l'esperienza del dolore di ragazza, i sentimenti che mutano, le conquiste della vita come saggezza.
Questa visione etica si pone a fronte di una fabulazione intensa ed essenziale: la nascita di un bambino in campagna, la bambina a scuola senza occhiali, una ragazza diventa signorina, una avvincente storia di una giovane fra città e manicomio, vita di studentesse universitarie alle prese con il volontariato. E' sempre racconto al femminile che illustra l'evolversi d'una generazione. [...]
Anche nelle cronache emerge sempre il senso delle città, dei luoghi di vita e di convivenza con una dimensione urbanistica e storica, ed anche politica: perché è in linea con la convivenza umana, le regole della civiltà, i riscontri dell'umanesimo.
Il diario chiude con un ritorno dal mare, da Fano, e l'evocazione delle torri gemelle, l' 11 settembre 2001, e la risposta si affida alla poesia, ad un testo di Baudelaire, la poesia che salva il mondo, i poeti che salvano il mondo, un destino indicato da Carlo Bo ai poeti del Novecento. Ecco dunque un libro ricco, complesso che fa pensare e con l'invito a guardare le persone, secondo una teoria degli affetti che si può dominare.

Gastone Mosci

 

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su:  P.E.N. Clubitalia di Giancarlo Cecchini

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[...] Notevole anche, nelle descrizioni di viaggio, o di fatti, la tendenza a non tralasciare mai di confrontarsi con l'arte, la cultura, la storia e la società del territorio visitato, come dell'avvenimento descritto. Si avverte costantemente la presenza di una curiosità e di una vivacità che, anche quando il raccontare si limita ad un flash, riescono sempre a farci sentire parte del racconto stesso. A fare da contraltare alle descrizioni d'arte o di costume o di fatti storici, ci sono, infatti, i costanti riferimenti all'ambito familiare, all'ambiente scolastico, agli adempimenti della quotidianità, che contribuiscono all' immedesimazione del lettore con la vicenda descritta. [...]
Giancarlo Cecchini

 

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TESSERE  DI  QUOTIDIANITA’  AL  FEMMINILE

di  Luciana Montanari Veltri

 

     Mai, come nel nostro tempo, la letteratura ha assunto un aspetto divagante nella quotidianità, dando forme nuove ai romanzi, ai racconti, alla narrativa in genere.

     Lo scrittore abbandona le grandi tematiche, gli articolati impianti narrativi, avvicinandosi alla realtà quotidiana e ispirandosi ai fatti minimi e apparentemente banali della nostra esistenza.

     Su questa linea si inserisce Germana Duca Ruggeri con Tessere, un volumetto di 141 pagine, costituito da cinque racconti, che hanno per protagoniste giovani figure femminili che agiscono  sullo sfondo degli anni Cinquanta-Sessanta. Ai racconti seguono undici cronache, che si snodano su un ampio periodo che va dal 1984 al 2001.

     L’elaborazione complessiva di Tessere è sostanzialmente coeva alla produzione lirica, che ha conseguito significativi riconoscimenti, caratterizzandosi per una delle espressioni poetiche più originali e autorevoli della nostra regione. Mi riferisco ai testi distanzaistanza e a Ex ore, pubblicati rispettivamente nel 1999 e nel 2002.

      Germana Duca Ruggeri ama giocare con il linguaggio. Già con Ex-ore, edito dalla Marsilio, utilizzava in modo creativo il dialetto di Urbino per cogliere, con una lingua dal sapore quotidiano, il flusso della coscienza, lo scorrere minimo dei battiti del cuore. Il bisticcio giocato nel titolo tra os-oris (lingua) e hora (tempo) evidenziava la lotta tra il valore salvifico della parola poetica e il tempo che, come uno tsumani, tutto travolge nel suo vortice incessante. Questo motivo della parola che salva, conserva e tramanda è anche il filo conduttore  di Tessere (San Cesario di Lecce, Ed. Piero Manni,  2004), che si caratterizza per la varietà delle proposte espressive: si va dalla cadenza del parlato nei racconti ai toni alti delle meditazioni nelle rievocazioni autobiografiche.  

     Non so quali siano stati i modelli di questa prima opera in prosa di Germana Duca Ruggeri, ma i racconti, per alcuni aspetti, mi hanno richiamato alla mente l’esperienza americana del “minimalismo”.

      Affermatasi negli anni Ottanta  con scrittori quali Leavitt, Carver, Hempel, la proposta minimalista si ispira alla vita della gente comune e si fonda sulla semplicità della struttura narrativa, sul linguaggio modulato su basse tonalità e sul costrutto sintattico pauseggiato da punteggiatura frequente. Mancano le cornici e la narrazione prende forma al di fuori di circostanziate descrizioni di luoghi, personaggi, contesti storici.

     Leggiamo gli incipit di alcuni dei racconti contenuti in Tessere:

<<In famiglia la probabilità di un’altra femmina non era stata nemmeno considerata: bordèl, ripetevano tutti, e già pensavano al nome>> (Fra lume e scuro, p.9);

<<Marisa, finché non diventò signorina, passò le sue estati con indosso per lo più soltanto delle braghette di percalle, di fattezze identiche a quelle che, del resto, aveva sempre indossato>> (Mutatis mutandis, p.27);

<< “ Ora non devo far altro, spero !” brontolò Stella sbucciando l’ultima patata>> (Non scappo io, p.37).

     Anche nella narrativa della Duca Ruggeri non c’è dimensionamento spazio-temporale. L’interesse dell’autrice è quello di inserire con immediatezza il lettore nel narrato. Si entra all’interno del racconto all’improvviso e con fatti banali. Sembra che il racconto, più che prendere l’avvio, si inserisca nella linea del tempo e il lettore si trova nella stessa condizione dello spettatore che si inserisce nella trama del film a proiezione inoltrata. A poco a poco il contorno prende forma e la narrazione si sviluppa attraverso i gesti e i sentimenti dei personaggi, lasciando in ombra i grandi eventi della Storia. Le protagoniste sono fanciulle alla soglia dell’adolescenza, con inquietudini e disagi, o signorinette piene di curiosità e di ardimento.

     La narrazione è asciutta e non concede nulla all’idillio o al lirismo.

     Ci muoviamo in territorio marchigiano tra Urbino e Ancona, realtà che l’autrice ben conosce e che la aiutano a ricostruire mentalità, costumi, comportamenti. Dal fondo sedimentato dei suoi ricordi la Duca trae frammenti di storie, disagi esistenziali, emozioni, con cui costruisce le sue trame. Non a caso leggiamo nel frontespizio del racconto Senza lenti:

<<La vita è la storia che narriamo di noi stessi, ricordandola>>;

<<Il ricordo non è solo trascrizione del passato, ma atto di invenzione. Scoperta, tra rottami spazio-temporali, di tessere ancora leggibili>>.

     Emerge dai racconti una realtà agra, difficile, fatta di duro lavoro e di stenti. In questo mondo aspro si inseriscono le attese e i desideri delle giovanissime protagoniste, che vorrebbero trovare possibilità di ascolto e di affetto, soprattutto in ambito familiare, ottenendo invece un atteggiamento di ruvida incomprensione, di rifiuto, di frettolosa attenzione. Questa psicologia ferita rappresenta il sottofondo di quasi tutte le storie.

     Siamo per lo più in ambiente contadino o suburbano, nel quale si evidenziano usanze arcaiche, ignoranza, pregiudizi. Solo l’ultimo racconto Giusto in tempo ci allontana dal mondo di provincia per introdurci nella brulicante e insidiosa vita della capitale, dove si spegne con amarezza e disillusione la gioiosa ebbrezza di due studentesse urbinati, partite avventurosamente alla scoperta di Roma. Qui si intravede un’altra realtà, popolata da giovani provenienti da svariati paesi del mondo, privi di ancoraggio, pronti a inneggiare alla libertà, all’uguaglianza, all’amore e disposti a dividere tutto, dai soldi al pane, all’hashish. Emerge anche la vecchia mentalità maschilista, pronta alla prevaricazione e le due giovani finirebbero per scottarsi in malo modo se non traessero dalla loro stessa ingenua improntitudine inaspettate risorse di scaltrezza e astuzia. La dicotomia tra realtà e apparenza, cara a Pirandello, affiora nella narrazione e compare anche in uno dei più bei racconti della raccolta, Non scappo io, attraverso la percezione alterata di una malata di mente. Il tema della pazzia entra nel racconto in modo leggero all’inizio, con le sfortunate vicende amorose del paladino Orlando, che tanto piacciono alla piccola Stella, attenta al dipanarsi della storia e curiosa soprattutto del drammatico epilogo, tanto da rivolgere domande incalzanti alla madre. Appare una dura vita di lavoro, che coinvolge tutti i componenti di una famiglia che gestisce una modesta trattoria, nelle vicinanze di Ancona. Anche la piccola Stella deve dare il suo piccolo contributo e la madre cerca di allietarla raccontandole storie e leggende. Tutto sembra scorrere nel solco della banale normalità, quando all’improvviso c’è una brusca virata del racconto e la pazzia irrompe creando un’atmosfera gravida di angoscia Attraverso successivi squarci temporali, scanditi dal crescere dell’età di Stella, il percorso narrativo sviluppa una progressiva tensione. Si scolpiscono nella memoria del lettore certi lampi onirici, rivelatori di sofferte situazioni e certi ambienti da incubo, che si riverberano nell’animo esacerbato della protagonista. <<I viaggi degli scrittori – dice Vincenzo Cerami nel suo ultimo libro di narrativa (La sindrome di Tourette) – sono sempre un ritorno come quello di Ulisse […] sono fughe dall’ignoto e dallo spavento. Ecco allora che dalle ombre minacciose prendono di nuovo forma gli alberi, i volti, gli affetti di una vita. Ma sono figure che adesso nascondono un segreto: la paura: Tutto sembra normale, però chi torna da quel viaggio sa che non è così>>

     Nelle storie contenute in Tessere,  comunque,  non prevalgono le note drammatiche, ma c’è un fluire leggero, in cui si insinuano guizzi di ironia e di arguta saggezza.   

     Nel racconto Mutatis mutandis, che era già uscito nel 1998 in un volume miscellaneo, l’autrice coglie la vita di una preadolescente, puntando l’attenzione su un indumento intimo che diventa il simbolo della costrizione esercitata dai genitori sui figli. Si tratta di mutande di percalle, che la giovinetta è costretta a indossare, malgrado le detesti. Gliele confezionava la madre <<alte, larghe, arricciate>>, vantandone i pregi materiali e strutturali. Marisa si sentiva goffa e avrebbe voluto invece portare mutande nuove, moderne, di vari colori, arricchite di trine e merletti, quali aveva visto tante volte alla Standa. Stanca delle sue dimostranze, la madre, un giorno, aveva promesso di comprargliele dicendo: <<Quando sarai diventata signorina!>>.

     Con straordinaria delicatezza l’autrice coglie il momento della pubertà: la scoperta da parte di Marisa, delle trasformazioni del proprio corpo, i trasalimenti, le emozioni, il brivido liquido e caldo. Mentre si scruta turbata dinanzi allo specchio, Marisa scorge la nonna, che la osserva.

 <<Stava ferma e pensosa, come se cercasse di formare una frase: “Quel sangue, che odora di acetello, è segno che puoi generare dei figli,” le disse. Poi aggiunse con semplicità: “Sei sviluppata”

“Ma adesso io”, le chiese preoccupata Marisa, girandosi verso di lei, “sinceramente, come vi sembro?” La nonna si limitò a passarle due volte le mani sopra i capelli dalle onde agitate – quasi a volerli meglio comporre e disse ridendo: “Una signorina”>>

     Nella conclusione, piena di arguzia e ironica consapevolezza,  la protagonista scopre, sia pure in ritardo, il valore di quelle detestate brache di tela. (pp.34-35)

     Parliamo a questo punto delle <<Cronache>>, che costituiscono la seconda parte del libro. Si presentano per lo più come annotazioni di viaggio con descrizioni di luoghi e costumi, arricchite da riflessioni e sapidi commenti. Il motivo che collega le due parti è quello della memoria, che nei racconti costituisce l’ordito su cui si collocano i fili dell’invenzione, nelle <<Cronache>> invece prevale l’aspetto autobiografico e i ricordi rappresentano tessere, segmenti di vita che l’autrice vuole conservare, prima che il tempo li cancelli.

     Le esperienze raccontate acquistano particolare icasticità grazie ad uno stile incisivo, rapido, efficace.

     Siamo a Malta, nella primavera del 1995.

     <<Volo bello: in un attimo sulle coste laziali; poi, giù,  sopra il Tirreno, percorso da barche, navi, pescherecci; quindi sopra Palermo. Candida, a forma di piovra, la città stende i tentacoli tra le alture vicine, coperte di verde. Il colore presto muta e, sui dorsi quasi brulli dell’agrigentino, s’intravede – o pare di vedere? – l’ossatura di un tempio; davanti c’è il Mediterraneo di Sciacca, dalla lunga costa falcata. Al largo sono enormi, le onde; hanno creste di un bianco che abbaglia.

     Riappare d’un tratto altra terra: è un’isola ferruginosa, difesa da un’alta scogliera, con un masso simile a un fungo che chiude la baia più bella.

     Un attimo dopo, ecco Malta di color marrone bruciato, riarsa dal vento e dal sole. Biancheggia solo Mdina, con Rabat, tra geometrie di muretti a secco, grigi. Le case, prive di spioventi e balconi, sembrano tutte uguali; stanno raggruppate lungo le  strade come preistoriche greggi pietrificate.>>

     Seguiamo attraverso le parole frizzanti dell’autrice il rituale di un matrimonio:

<<In piazza del Duomo una carrozzella, trainata da una coppia di cavalli andalusi impennacchiati di bianco, ci svela il prevedibile mistero: anche a Malta ci si sposa: E, a quanto pare, in pompa magna se, in fondo alla spianata, stazionano due limuosines chiare con gli autisti in polpe. Ci uniamo a turisti e parenti in attesa. Davanti a tutti, sei suonatori scozzesi di cornamusa, con l’immancabile kilt, inconsueto a queste latitudini; ma …ecco la sposa!

Bruna e troppo truccata, spicca nella nuvola dell’abito bianco, sulla carrozzella. Che fa il giro della piazza, prima di dileguarsi dietro la Cattedrale. […] Lo sposo, occhi luminosi su incarnato olivastro, è piccolo nel tight sartoriale. Nonostante le tempie argentate, rivela un’ansia infantile mentre si aggira sul sagrato, in cerca – si direbbe – della fanciulla moresca, appena transitata in carrozza.

Costei riappare, poco dopo, dentro la limousine. E sono svolazzi di veli e sottane, fra damigelle in attesa della sua sortita (prima tentata, infine decisa) dall’abitacolo.

Ora la sposa (chicchi di caffè gli occhi; come un fico spaccato la bocca; il décolleté seminato di perle), oltraggiata dal vento, incede al braccio (corto) del padre, ingessato con la giacca con le code.

Il cameraman che riprende la scena all’improvviso li blocca. A lei ravvia una ciocca corvina, a lui radi ciuffetti, in balia di continui molinelli; quindi li autorizza a incamminarsi verso l’altare.

Padre e figlia sono accolti da musiche d’organo; alle loro spalle, pesante, si chiude il grande portone>>.

     A volte le cronache non ci portano lontano, ma sono legate al mondo quotidiano dell’autrice e ci propongono l’immagine di una donna, profondamente ancorata alla sua famiglia, impegnata nella  professione di docente, assetata di cultura, ma invischiata, talora, nei piccoli problemi di tutti i giorni. Il tutto raccontato con garbo e arguzia.

     Le cronache arrivano fino al 2001, ad una data tristemente scolpita nella nostra memoria, a quel fatidico 11 settembre, in cui il mondo sembrò sprofondare negli abissi più tenebrosi del male, avviandosi ad un conflitto senza fine.

<<Materia e Spirito. Bene e Male. Mondo cristiano e mondo islamico. Ricchezza e povertà. Invidia. Reciprocamente e viceversa. Bush, in cravatta rossa, alla prima apparizione nomina il demonio, chiedendo la benedizione di Dio. In nome di un altro Dio, i kamikaze hanno sbriciolato l’impensabile, demonizzando l’Occidente. Come smascherare le rispettive Menzogne? Dov’è la Verità? E la Giustizia?>>

Queste domande, che l’autrice si pose in quel tragico martedì, lasciano un’eco profonda nel lettore.

     Parafrasando ciò che il musicista Luciano Berio dice a proposito della composizione musicale, Tessere dimostra come si possa fare creazione artistica selezionando, combinando, utilizzando con sensibilità e acume tutti i materiali, tutti i frammenti della vita quotidiana, senza mai dimenticare il controllo delle singole parti e dell’insieme, poiché solo se esse comunicano al loro interno e tra loro, vincono il tempo e suscitano emozioni.

Luciana Montanari Veltri

 

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su:  P.E.N. Clubitalia  di Maria Grazia Maiorino

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[...]La seconda parte del libro contiene pagine di diario, appunti di viaggio perlopiù, ma non solo: mi sembra una scelta coraggiosa vista la considerazione di genere minore, quasi alle soglie del letterario, riservata da certa nostra critica a quella miniera di scrittura fresca, senza confini, infinitamente libera di posarsi su ogni cosa, per la quale Coccioli conia l'espressione di "minutario, perché fatto di cose minute, minuscole, e perché, come si vede, lacera il tempo in minuti".
Non laboratorio semplicemente, ma pagina, tessera con la sua parte di lucentezza, disegno e colore. Luogo e tempo toccati in sorte. Così tutto si anima nel raccontare, ogni dettaglio viene raccolto in uno sguardo affettuoso e reso significante quanto l'oggetto principale della cronaca. [...]
[...] Lo stile è realistico, solido, si lasciano parlare i fatti, i nomi, il ritmo e il concatenarsi delle frasi, con cadenze a tratti da cantastorie. L' "adorato" Dickens, ma anche la scrittura femminile di una Emily Dickinson o di una Katherine Mansfield, quella confidenza con l'universo che permette di scompigliare la compostezza della frase con espressioni capaci di catturare per un "ricamo" qualsiasi alterità e lontananza. [...]

Maria Grazia Maiorino
 

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GERMANA DUCA RUGGERI: Tessere, recensioni