Personali
1991: Reg.
Piemonte
1985: Urbino
1985: Torino
1983: Sauze d'Oulx
1983: Cogne
1982: Sauze d'Oulx
1981: Urbino
1981: Bardonecchia
1979: Sauze d'Oulx
1978: Sauze d'Oulx
1978: Gassino (TO-
1978: Chivasso
1975: Finale (Emilia
Collettive-Rassegne
1999: Biella
1999: Acqui Terme
1998: Torino
1997: Bagnacavallo
1991: Torino
1987: Castellamonte
1980: Sauze d'Oulx, I° Premio.
1980: Portogruaro
1980: Carpi
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REGIONE PIEMONTE
Mario Gambedotti
Torino, Palazzo della Regione
Piazza Castello, 165
dal 26 giugno al 6 luglio 1991
Mostra e catalogo a cura di:
Angelo Mistrangelo
Coordinamento e realizzazione:
Rosanna Cauda
Fotografie:
Pier Andrea Monni
Allestimento:
SALF di Braiato Sistilio, Torino
Composizione, fotoformatura e stampa:
Stamperia Artistica Nazionale, Torino |
Torneo - china 1991
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Gioia, ironia,immagini e
tradizioni antiche
Nella sala
esposizioni del palazzo della Regione è allestita la personale di
Mario Gam-bedotti: un'iniziativa interessante perché l'artista è
illustratore, incisore,.
amante della grafica nelle sue diverse forme. La complessità
della tecnica non sembra essere un problema per l'artista, che anzi
riesce a piegare la materia all'idea che persegue con grande
immediatezza e facilità. Gioia, ironia, immagini e tradizioni
antichissime traspaiono nelle opere nate dalla abile mano di Gambedotti: la sua esperienza grafica si rivolge verso situazioni
genuine, qualcuno dice addirittura agresti, recuperando immagini
consuete alla disinvolta elaborazione artistica che si nutre di una
vena umoristica che vanta nobili archetipi.
Gian Paolo Brizio
Presidente Regione Piemonte
Giuseppe Fulcheri Assessore
alla Cultura
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Teatrini della memoria
ricchezza
non cerchiam né più ventura
che balli e canti e fiori e ghirlandelle.
Franco Sacchetti
II clima della pittura, direi meglio
delle pagine grafiche, di Mario Gambedotti appare contrassegnato da
un pregevole ricupero di trascorsi eventi, di luoghi, di feste
popolari che suggeriscono tutta una serie di considerazioni intorno
all'impegno espressivo e alla sua indiscussa capacità tecnica. Si
tratta, indubbiamente, di una ricerca trentennale, di una costante
evoluzione del segno che, in ogni caso, assume il valore di una
brillante sequenza narrativa, di un «dire» che prevalica la società
contemporanea e il probante sviluppo tecnologico, per riconquistare
la dimensione del quotidiano e di una più genuina gioia di vivere.
Un percorso, il suo, che nulla
concede al gusto corrente, alle vicende ed alle concettuali cadenze
di tanta arte dei nostri giorni, ma sembra voler ripercorrere un
mondo di fiabeschi accadimenti, di incontaminati sentimenti, di
candide annotazioni che rivelano l'attenzione con la quale l'artista
guarda al passato, alle più antiche e suggestive immagini. Immagini
che hanno il fascino sottile delle feste campestri, dei mercati
rionali con ceste colme di verdura, uova, frutta, ortaggi, mentre i
bambini giocano rincorrendosi su per una scala. Lentamente il
discorso si dipana come un balletto e acquista una propria
personalità, un tratto caratteristico e caratterizzante questi suoi
teatrini della memoria.
Vi è in Gambedotti una naturale
predisposizione al racconto minuto, alla visualizzazione di
un'azione, di un incontro, di una partita di pallone fra fratini, di
una processione con volti ora assorti ed ora permeati da una sorta
di interiore spiritualità. Vi è in queste tempere una vibrante
accensione del colore intessuto di una luce che esalta l'intensità
dei rossi, il solare incedere dei gialli, le più fredde cadenze dei
verdi, degli azzurri che sfumano nel silenzio della notte rotto da
un gruppo di cantastorie sotto il balcone di una graziosa fanciulla.
Canti e balli e improvvisate
orchestrine accompagnano anche una
«Arrampicata sociale», una particolare «scalata al potere» vista con
ironia, con uno sguardo disincantato, volutamente pungente. In
queste sue raffigurazioni il movimento appare l'artefice di una
composizione mai statica o spoglia o inquieta e inquietante, ma
sempre e comunque riconducibile a universo in cui — ha suggerito
Attilio Boccazzi-Varotto — «le istanze sono il ballo, il banchetto,
il riposo: il tutto rappresentato con perfezionata maestria di segno
e di composizione... Ed è un segno fatto di falsetti, maniere,
citazioni occulte, rugiade, goliarderie, ma non senza note sfogate,
abbandoni a franche risate...».
Un modo, quindi, di operare che
discende dalla sua formazione presso l'Istituto Statale d'Arte per
la decorazione e l'illustrazione del libro di Urbino, dove si è
specializzato nella Tecnica del Cinema di Animazione.
Una tecnica appresa alla scuola di
Francesco Carnevali che in occasione della personale al Palazzo
Ducale della primavera del 1985 ha scritto: «Tale è la sua bravura
nella esecuzione nitida e vibrante, capace di preziose variazioni,
di raffinati passaggi chiaroscurali, tanto che in alcuni casi la
materia sembra trasfigurarsi pur non tradendosi mai». E questa sua
esecuzione lo ha guidato attraverso una limpida definizione dei
personaggi delineati durante una scelta professionale che lo ha
portato, dapprima, a lavorare per la Gamma Film a Milano e poi,
trasferitosi a Torino, per la RAI e infine per la SIPRA. E sono le
«tavole» animate per i «Caroselli», le copertine dei dischi, le
scenografie per la televisione, le illustrazioni per Mursia e per la
SEI, che determinano un itinerario senza cedimenti e senza scontate
concessioni a una piacevolezza di maniera. Gambedotti, infatti,
riconduce ogni figura a una ben precisa entità e il segno
circoscrive con unitarietà i personaggi, li estrae dal fondo per
portarli in primo piano collocandoli in uno spazio più sognato che
reale.
E sono le suore, i frati rubicondi,
gli allegri musicanti, gli anziani spettatori e gli acrobati sul
filo sospeso nell'aria, a sancire la qualità di un dialogo sommesso
tra l'autore e questi suoi uomini e donne e assonnati avventori
dell'osteria «Da Placido», dove a tratti i visi si illuminano di
sorrisi un pò 'forzati a causa del troppo vino, mentre in altri
momenti i fiaschi di Chianti, i salami di campagna, i formaggi
piccanti, lasciano il posto a tetti dell'antica Urbino, dei
cascinali a Gualdo Tadino e a Gubbio, dell'incontrastata e mistica
poesia di Assisi. In tale angolazione prendono forma i fogli ricchi
di testimonianze, di scampagnate e di «grandi abbuffate», di
giocatori di bocce e del «Torneo» tra cavalieri con damigelle e una
folla festante, sino alla svettante «Torre di Babele».
L'esperienza di Gambedotti, pur
sviluppatasi in maniera appartata e lontana dai gruppi e dalle
correnti contemporanee, ha trovato negli anni Ottanta precisi
riscontri nelle rassegne al Museo della Xilografia di Carpi e nelle
personali a Sauze d'Oulx, Bar-donecchia e all'«Atelier des Beaux
Aris» di Cogne. Contemporaneamente ha realizzato le xilografie dei
«Poeti, Santi e maledetti del duecento», per le Edizioni del Pavone
di Priuli & Verlucca e quelle del «Processo di Frine» per la Phelina
Edizioni d'arte suggestioni.
Scaturiscono da tale vicenda sempre
scandita tra fantasia e decisivi riferimenti con la poesia del
Duecento e l'indagine intorno ai «Canti e Canzoni Piemontesi», gli
ex libris e le figure incise nel legno, segnate dalla fatica del
vivere, pur temperata da una felice resa delle scene, che possono,
in qualche misura, ricordare, come è stato più volte rimarcato, le
grandi saghe popolari di Brueghel e il legame con la lezione di
Rabelais. Soprattutto si ravvisa nelle sue composizioni la stre-
nua disposizione della linea che
circoscrive con ferrea unitarietà le varie figure, ma il «vigore
plastico, le incredibili mezzetinte ottenute con i durissimi bulini
d'acciaio, l'ariosità delle prospettive architettoniche, la coralità
di certe scene corposamente popolari — ha sottolineato Raffaele
Violi — sono infilo diretto con chi ama la bellezza». E da questa
impostazione emerge una rappresentazione nella quale si avverte una
armonica ricerca della forma che, tondeggiante ed essenziale,
costituisce la cifra riconoscibile di una figurazione che gli
appartiene con quella sua peculiare esecuzione di un'immagine che
non è mai banale, ma indica una vera e, talora, rara intuizione nel
«costruire» i suoi fiabeschi e arguti personaggi: la loro semplicità
riscatta ogni altro aspetto di un'esistenza segnata dalle tensioni
della società degli anni Novanta.
Angelo
Mistrangelo
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CHINE
URBINO I
TORRICTNI
URBINO S.
MARGHERITA
URBINO S.
BERNARDINO
URBINO S.
DOMENICO
URBINO PORTA
LAVAGGINE
URBINO S.
CHIARA
URBINO LA
CUPOLA DEL DUOMO
URBINO PORTA
S. LUCIA
URBINO VISTA
SU VALBONA
URBINO SAN
FRANCESCO
URBINO
SCALETTE DI S. GIOVANNI
URBINO
L'ABSIDE DEL DUOMO
ARRAMPICATA
SOCIALE
IL TORNEO
TORRE DI BABELE
LARCA DI NOÈ
VIVA IL VINO!
URBINO
ORCHESTRINA
L'ORA DEL
PRANZO
L'ASSEDIO
I PICARI
IL COMPLEANNO
I GAUDENTI
DUELLO
FRATICELLI
PARTITA IN
CONVENTO
GUBBIO
ASSISI
GUALDO TADINO
MERCATINO DI
CORTE
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XILOGRAFIE
LE OCHE
LA TOMBOLA
DANZA SULL'AIA
IL MERCATO DEL
BESTIAME
IL MAIALE
TIRO ALLA FUNE
IL CESTAIO
DA PLACIDO
L'ORCIO
LE BOCCE
MERCATINO
SCAMPAGNATA
CONFERENZA
SERENATA
ORCHESTRINA
RUSPANTE
TETTI DI TORINO
LA GRANDE
TAVOLATA
GIOCO DELL'OCA
LA SFIDA
VEGLIA
CONTADINA
TACCHINO
TORINO
CENTROTAVOLA
NB. Le dette opere si possono ammirare in
queste pagine web alle voci: "Xilografie" e "Disegni" |
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Nella prestigiosa
galleria, presso la casa natale di Raffaello Gambedotti espone
numerose opere grafiche. Le sue tavole xilografiche risalgono
al 1966, quando per la Società Sipra allestisce un calendario con 12
incisioni (segni zodiacali- riscuotendo subito un notevole successo
di critica. Da allora, raffinandosi nel segno e nella tecnica, ha
inciso centinaia di legni di varie dimensioni, partecipando a
numerose manifestazioni nazionali.
Le sue opere sono
presso collezioni private e pubbliche, in Italia e all'estero
(Olanda, Inghilterra, Stati Uniti, Urss, Svezia, Francia).
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PRESENTAZIONE DELLA
MOSTRA
di Raffaele Violi
Le tecniche dell'incisione, al giorno d'oggi, sono
disparatis-sime e sofisticate. Si parla dovunque di «grafica»,
coinvolgendo «puntasecca», «acquatinta», «acquaforte», «mezzatinta»,
litografia «a penna» e «a matita», «vernice molle», «punta
d'argento», etc. Persino la modesta serigrafia gode di un rinnovato
fervore e si è ribattezzata elegantemente «silk-screen».
Tanto di cappello a tutte queste tecniche, che in un
modo o nell'altro ripropongono variazioni sul tema antichissimo
dell'incisione ad incavo, o in superficie. Ma il metodo più antico
rimane comunque lei, l'incisione in legno, ossia il metodo
dell'incisione «in rilievo», dal quale discendono in linea diretta
Gutenberg e la tipografia. E' insomma il metodo più «semplice».
Tanto è vero che legni incisi esistevano già in Cina nel 2° secolo a.C,
e successivamente in Europa, sopra tutto per stampa su tessuti. Ma
già agli inizi del Quattrocento tali legni avevano funzioni
pittoriche e illustrative, come testimonia il «Cristo davanti a
Erode» del British Museum, e il mirabile «San Cristoforo» di Buxheim,
del 1423. Il metodo più «semplice» e, oggi, il più «snobbato». Il
motivo è altrettanto semplice. Per arrivare all'abilità tecnica dei
maestri xilografi occorrono pratica, esperienza e passione in dosi
massicce: cose che sono frutto di lungo e indefesso lavoro, cose che
male si accordano con il nostro tempo nevrotico, frettoloso e...
superficiale.
A ben osservare un legno inciso dal Durer o da
Holbein, c'è da essere presi da un profondo scoraggiamento. Mario
Gam-bedotti, invece, non si è scoraggiato, ma ne è stato stimolato
come da un traguardo possibile. Piano piano, armato di sgorbie, di
lisce tavolette di legno di pero, e di tanta passione, si è
tracciato con mano maestra un suo sentiero grafico dove il segno (e
il legno- si vanno via via spiritualizzando, dove la tecnica (già
intensamente vissuta da allievo della Scuola d'Arte di Urbino- si è
affinata al punto da fare concorrenza alle altre tecniche incisorie.
Gambedotti riesce a «retinare» il legno quasi fosse tenero metallo,
a condurre esilissimi fili di ragno attraverso corpose composizioni
piene di campiture a contrasto fra di loro - a gremire di
personaggi, di cose e, sopra tutto, di «humour» le compatte
mattonelle lignee. Oramai la sua «tavolozza» di grigi è uno sviare
di toni che qualche tempo fa lui stesso avrebbe considerato
impossibili. Per non parlare delle ariose prospettive, della
profondità ottenuta con tagli sapienti (una finestra, un loggiato- e
con un magistrale gioco di piani. Ma le considerazioni tecniche sono
meno importanti di quanto l'arte di Mario Gambedotti ci offre in
abbondanza, e che è il suo gustoso leit-motiv. Quel grande, corale
sentire l'umanità, e amarla. Amarla nei suoi aspetti più cordiali,
più umili, più vissuti. Un'umanità che giuoca a tressette, o a
bocce, o si maschera per carnevale. Che mangia, che beve, che fa le
cose di tutti i giorni. Frataccioni ridenti che si rincorrono fra
alberi in fiore, grasse casalinghe che rimescolano la polenta,
sbracati contadini che, sorretti da una chitarra, stonano
allegramente insieme... Si pensa a Brue-ghel, a un modo di essere
«sociali» forse irrecuperabile (almeno per noi cittadini-. E si è
grati a Mario Gambedotti come a chi ci offrisse, con amicizia e
semplicità, una scodella di fumante pasta-e-fagioli e un bicchiere
di buon vino rosso.
Raffaele Violi
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