IX° Concorso
2009 Agenda 2010 |
Tutti gli autori dialettali |
Sono stati omessi da questa WEB Antologia rispetto al cartaceo i testi dei seguenti autori, perchè già riportati nelle edizioni precedenti edizioni: Don Ciro Scarlatti: Concorso 2
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VITALIANO ANGELINI
In viagg per Romadi Vitaliano Angelini
È ‘na question de civiltà, un pensier ch’ c’ha la voia dl’anima e l’immalincunisc.
In tel barluginè dla matina, tra le nebbia, canta la radio mentre la corriera veloc va vers Roma. Ritmicament, a turne, i pensier, le preocupasion me passen per la testa.
Un’idea del mond diversa, nova, ch’se scontra sa la banalità de tutt i giorne, sa'l mod d’intenda la vita.
All’improvis me vien in ment la tu pell liscia e morbida a tocalla. È com un sogn, un’utopia dla vita ch’m’incanta.
In t’un ‘sta gran tristessa, in t’un ‘sta solitudin, el sol s’ fa veda a sbals e fòra sta gran nebbia. È com se se preocupassa de noialtre.
C’ho na gran smania dentra.
ESTATdi Vitaliano Angelini
Ha lasciat gì da tirè el vènt e in tl’aria azurina c'è ancora qualche strefne bianch ch’sembra pitturat. Adess le betulle e i ciprèss en c’han piò i stremuliss, nemen i piòp che giò ma'l fòss fann compagnìa ma un fiumicin pcin pcin, che adèss c’è e po’ en c’è e lascia asciut el lètt do’ le bisciulin de prat e le lucertol giocheran tutta l’estat, …………………………………… come facevam ‘na volta da burdei
di Vitaliano Angelini
Paesagg straordinari dò’ l’aria cambia dan minut a clatre l’atmosfera se sciòi; un post che sfurmicola d’ni cosa, do’ ch’en c’è sfogh e tutt rischia da scoppiè.
“In Urbin pòl capitè l’assurd; l’incredibbil, è acèttabbil, acèttat….”
T’artrovi insiém di ritme strani, morbidi e asciutti per el gust del contrari, se compiac del contrast ‘sta città, cè prova gust: la luce gambia continuament.
In tun ’sti grand spasi en s’riesc a dì la realtà material dle còs:
tension ch’en lascne mai gì, scattne all’infinit e la volontà en le decid e manca le controlla. . Le linee, le forme di palass, dle colin, di mont, t’el spasi luminos, in t'el sguissè continue, tra la luc e l’ombra, se spèrden, scomparne e arcomparen sensa fin.
Per tutta ‘sta belessa me se stremulissa l’anima.
EL VENTdi Vitaliano Angelini
Com quand el vent fischia tra le serand un stremuliss me corr giò per la schiena, se te pens. Alora m’artornen in tla ment le suposision, le emosion, le sensasion, ch’avem provat e avem vissut. Tutt tremolant tra le serand è el vent che sopra la tu pell vola e dventen piò vivi tutt i color.
di Zeno Fortini
Ho cantato la bellezza e l’amore, le piante soffuse d’arcobaleno, nella terra ho ritrovato la leggenda del tuo nome; e nel cielo i brividi del tuo amore m’hanno fatto vibrare come un virgulto scosso dalla brezza. Sei stata sorgiva che zampilla e rinfresca; i miei nodi si sono disciolti quando ti ho veduta, nel giaggiolo che s’apre alla rugiada ti ho sempre di nuovo riconosciuta madre mia, e ora ti cerco, anche se so che non mi lascerai, perché nel tramonto è stampato il tuo amore, nell’amore stilla il tuo candore, e l’aquila vola con te verso il sole.
di Zeno Fortini
Quando ero piccolo andavo col babbo a caccia di passerotti. E io avevo una gran voglia di sparare, ma non agli uccelli che sono creature del buon Dio. Si stava nel capanno per quasi tutto l’anno. Ricordo che una volta, quando squillarono le campane della santa Pasqua, io premei il grilletto contro un fantoccio. Però avevo una gran paura di sparare. E quando lo feci le campane che squillarono mi rinfrancarono il cuore. Ora che son vecchio ricordo con nostalgia quei giorni, perché erano tempi belli e non come adesso che si corre tutti ai soldi. A me bastava sentir trillar gli uccelli: il pettirosso, il verdone o questi o quelli. Ma non ti dimentico, babbo Guido, ma ti ricordo sempre con un sorriso.
di Zeno Fortini
Credevo che il flagello umano fosse la guerra, ma ciò che affligge questa piccola stanza, questo granello di sabbia che noi chiamiamo “Terra”, non è la guerra, pur fonte di tanto odio, ma è la non conoscenza, o detto in una parola sola è l’ignoranza. Perciò sappia, amico lettore, che la sapienza, quella vera, pura, seria, è la sola cosa al mondo che libera il cuore umano da tanta cattiveria.
di Zeno Fortini
Dalla nonna Albina io ti ho conosciuta, giovane ragazza, che pascolavi e, al sorgere dell’aurora, cantavi una melodia che mi stringeva il cuore. Poi ti immergevi nell’acqua di sorgente, e risorgevi fresca coi capelli al vento. Se ora sentissi tutto quello che io sento, diresti parole care al mio cuore, che leniscono la malinconia ed il dolore. Ma mi accontento di rivederti in sogno. Ora che curi l’intimo del corpo e passi inosservata fra la gente, per me resti sempre la ragazza pura di sorgente.
di Zeno Fortini Urbino, 14 Gennaio 2008
Notte senza rugiada, caldo di nebbia, pianto delle stelle, perché lei mi ha lasciato, appoggiato alla ringhiera, i brividi di freddo con le gocce di nebbia nel ferro stretto fra le mani. M’ha consegnato un volto tagliato dalla luna, nell’anima mi scende la sua assenza, come la lama di un pugnale. M’ha lasciato per sempre e sempre vuol dire che mai più sarà con me. E’ malinconica la strada come una tavola sparecchiata. Stranezza delle cose, sorseggio whiskey per ricordare meglio chi voglio dimenticare, e invoco il suo nome al centro della piazza, ma il vento porta il mio lamento sui tetti fino all’alba.
di Zeno Fortini
Timido ed insicuro già nel varco dei vent’anni, io ti ho visto, sfilare per le piazze energico e volitivo.
Ma il tuo tocco gentile, mi é sceso subito al cuore, ragazzo che subito ha intuito il germe che mi maturava il cuore sbocciando in tutto il suo ardore di un fiore che non può perire.
Tu, sei stato tu, che hai raccolto il mio ramingo andare e l’ha trasfuso nel candore del canto che non muore, ma toghe dal suo velo il pungolo che mi scavava il cuore apriva soavemente nel nodo chiuso nella gola il raggio dolce e ardente di questo mio voler cantare.
di Zeno Fortini
Se io fossi sull’ali del vento salirei sulle vette del cielo. E una goccia bagnata d’azzurro porterei alla gente nel cuore. Se io fossi foriero di fiabe giocherei fra uno stuolo di fate, e la voce innocente che allieta fermerei nella gola a gioir. Se a te ancor fossi vicino coglierei questo aprile di stelle, e versandole lieve nel grembo fremerei un sussulto d’amore. Ma dolente la voce si spegne, perché amare e gioire non so. Fugge l’aria fischiando e ripete: “no! gioire ed amare non sai”.
di 7.eno fortini
Ho visto un gatto abbandonato alla lordura dell’alba nascente, e la mia anima si chiuse nel mantello come nel mallo una noce secca.
di Zeno Fortini
Spazio grande, dove affonda l’identità dell’uomo quanto più ti avanza, le cose svaniscono nel tuo ventre di gigante, sei l’amuleto che dissolve ogni tremore covato nei riposti nascondigli dell’anima assediata. Mi stringe la tua immensità e pure disperde battiti che non dann rumore lungo le tue sostanze ansiti che fremono e non giungono lo spasimo squarcia il tuo silenzio e poi si annulla nel rantolo di un rivo o sulla gronda di un orto prostrato dalla luce accecante di un sole insano.
di Zeno Fortini Urbino 24 luglio 2008
E’ la sete della tua pienezza, o Vita, quella in cui in ogni angolo ti cercavo, con la speranza fanciulla in un sorriso di donna, oppure stringendo una mano che sciogliesse l’ansia del cuore, i grumi dei desideri insoddisfatti. E tante le volte che lasciai cadere al fianco le braccia sconsolate, come il coltivatore quando vede che il frutto da cogliere svetta roseo ed invitante più in alto della mano. Muto nel silenzio della notte mi stringevo allora sotto le coperte, come a soffocare la pena di quelle promesse deluse dopo tanto peregrinare al sorgere della Vita.
di Zeno Fortini Urbino, 23 aprile 2008
Giù al Mercatale c’era il Luna Park, e tu, ruotando sulla rotonda, sventolavi, al ritmo di “Torero”, la tua gonna finemente ornata. Ti chiamavi Semiramide, come la regina degli Assiri, e, per noi giovani imberbi, eri davvero una regina. Ma con te l’amore era puro, come l’acqua che sgorga dalla polla. Tu, Semiramide, resti nel mio cuore, perché m’hai dato l’ebbrezza che m’ha fatto fremere per tutta la giovinezza.
di Zeno Tortini
Non sapevo che tu mi trattassi come un mulo frustato che s’impenna. Eppure io t’ho portato a passeggio nei posti più belli e suggestivi. Sono stato il tuo accompagnatore del professore anziano che poi non condivise con te la vita, perché scegliesti un giovane dai caldi sentimenti. Ti ho scritto poesie che non meritavi e il bacio che mi hai dato è stato l’attimo di un passero spaventato che fogge dagli alberi verso il cielo. Eppure il tuo rossore sul viso, aureolato dai capelli mori, di catrame, ha pervaso di un brivido il mio cuore. Ed il libretto che ti ho regalato con i versi a te dedicati, adesso, che sei donna matura, lo conservi, forse, come allora fra le cose tue più care.
dì Zeno Fortini
Nell’aula del Parnaso, vi ho incontrati tutti, amici miei, di strada e di cultura. Ed è stato un tuffo nell’acqua di sorgente, dove risorgi pulito e rinfrescato. E ho ricordato voi che amavate tanto e anch’io ho amato. Non importa se Giuliana o Laura o Caterina. Quel che è certo di mattina andavamo cantando fino alla sera, e nel vicoli stretti recitavamo Cecco Angiolieri o Dante. E anche tu, Dante Domenicucci, eri un amico grande, anche se sventolavi la bandiera dei re Savoiardi. Ma io non so dimenticarti, lo dico a te: “al re! al re!”
è ancora perfettamente anonimo.
Una volta Ludius mi si è presentato come urbinate non residente, riferendomi nome, professione, città di residenza, ma esprimendo il desiderio di rimanere ufficialmente incognito. Il sottoscritto per tener fede al desiderio dell'anonimo, ma soprattutto per la debole vetusta memoria ha completamente dimenticato le credenziali confidatemi. Michele Gianotti
di Ludius (Anonimo)
Te el se, el so che ‘l se, o almen el sper, - e ‘l sapè ch’è dacsè me dà coragg - da creda che da te, profond e inter, com un bel sol estiv sal su cald ragg,
me nirà ‘n giorne un sentiment sincer, tal qual è el mia, com un sentit omagg. E aspett, tutt el mi temp – e, credme, è ver - in ansia, com l’inverne aspetta magg.
So machè, sempre, ferm e risolutt, so machè per gì insiem sa te a na méta anca se per adess sto sitt e mutt.
E t’amir e gioisch al par d’ n’ “esteta” de front al bel piò pur e asolutt, anca se ‘l tu pensier me turba e inquieta.
di Ludius (Anonimo)
Tutt è pasat, ormai tutt s’è disolt, t’un soffi, t’un istant, t’un batta d’ali: e in poch o nient s’è tramutat el molt ch’sentiv dentra per te, per tutt quel ch’vali.
Nient ormai poss piò veda tel tu volt, in ti tu occh, un temp dacsè leali: adess, tutt sol, un gran silensi ascolt, tristessa e delusion in part uguali.
‘Na parola, soltant una parola saria statta, tla nott piò scura, luc: un segn, un cenn, una speransa sola
per famm capì calcosa ch’me conduc dal sogn a la realtà, e me consola. Mo tutt è pers e a nient ormai s’arduc.
di Ludius (Anonimo)
El silensi è el compagn, el piò perfett, quand tra noiatre c’è la lontanansa, mo a malapena dentra me l’acett perché ma la tu asensa dà sostansa.
Alora me sent sfnitt, scontent, inett, e perd ogni mi slanc vers la speransa d’avet ma che sa me e piò en connett sotta ‘n destin che dur e trist s’avansa.
Damm un segnal, dimm sol una parola, calcosa per levamm da ste torpor: fa’ in mod ch’capisca ch’en è piò da sola
l’annima mia! E famm essa miglior! Un cor seren un cor trist el consola se, sincer, i sa dè el sens dl’amor.
di Ludius (Anonimo)
Quand’er bordell e stav da cima ‘l Mont Urbin per tanti aspett era diversa: e alora quel ch’m’arcord adess v’l’arcont, sperand che la memoria en se sia persa.
Tant robb un temp en erne com adess, i grand e i pcin campavne sensa intopp, se rideva sa poch e daver spess ce se fermava per non corra tropp. Alora le stagion – beh – quattre erne, e per ognuna c’era ‘n mod de viva: insomma, s’era autunn opur inverne, s’c’era la primavera o l’afa estiva, s’capiva ben, com sopra ‘na gran rota ch’fa, ann dop ann, ugual el su bel gir, sempre guidata dal su “Gran Pilota”, tra ‘l ben e ‘l mal, tra la gioia e i sospir.
La primavera niva fin da mars, sa i prim caldin, dop ‘na lunga invernata, e anca se quel ch’c’era era un po’ scars ognun sentiva adoss ‘na voia arnata de fè, de movse, de scapè, d’gì fora, de giochè, de parlass, anca d’fè festa insiem sa chiatre. E già da la bon’ora tutti sa indoss, per el tepor, na vesta piò legera, ti vigol e tle piass, se vdevne gì e nì, sa na gran smania de sorida, de viva, d’incontrass, magari de fè ‘n gir fin in Urbania ! S’arcminciava a gì a spass fina ai torion sa'l sguard ma'l paesagg sempre piò verd, vers Fermignan, so so fina al Neron, fin che la vista dentra ‘l ciel se perd. E se ti vigol po' movevi el pass, da le finestre aperte, giorne e sera, sentivi sbatta fort i materass per le gran pulisie de primavera. E per Pasqua, fina al Venerdè Sant, in so e in giò da i ricch e da i porett, de corsa, sa ‘l gonlon tutt svolasant, vdevi gì in gir el pret sa i chierichett, per benedì le cas e anca i ova da magnè, sodi, dop che mama i lessa, la dmennica matina, come prova de devosion, prima da gì a la Messa. La crescia d’Pasqua, quanta bona era! Bella, morbida, alta, profumata, te dava propri ‘n sens d’’na festa vera, un sens d’famiglia, insiem tutta ardunata! Era ‘na gioia, un rit, ‘na tradision per le donn alsass prest, apena giorne, fè l’impast, mettle ben in ti bidon e po' portall a cocia dentra i forne.
Dop niva giugn e alora tutt Urbin s’preparava sa gioia e devosion a festegiè el su Sant, San Crescentin, e s’giva tutti a la porcesion: l’Arcivescov in testa e dietra i pret, tutti bardati, sa i gran brett tla testa, i chierichett, - ch’facevne un rapascet! - e po' tuta la gent, sa ‘na modesta aria tla faccia, intenta in tle orasion, tle litanie e ti cant, mentre el corteo faceva giust el gir del prim torion. “Ave”, “Gloria” e “In excelsis Deo” borbotavne i fedel tra mezza i dent, mo de sicur la magior part de lor de quel ch’diceva en capiva nient, anca se ‘l cant i niva so dal cor! E sempre po tel mez c’era la banda e cla mussica acsè solenn te dava propri la sensasion d’na festa granda che ‘l Patron per daver se meritava, e te faceva nì tla gola ‘n gropp. A la fin s’giva a casa, già tla ment i problema e i pensier del giorne dopp, mo sa’l cor piò leger e piò content. Nantra stagion saria prest arivata, piò calda e luminosa, piena d’sol: l’estat era malè, apena nata, mo già pronta a sbocè e chiapè ‘ vol.
di Ludius (Anonimo)
Te ved - de rad, è vera
- mo te ved,
Te cerch dentra la ment,
e, sfnitt, me chied
Te me turbi, me streghi,
me confondi,
I so machè, a dmandam se
mai me pensi,
UN PENSIER TUTT PER TE
Un pensier, tutt per te, pcin mo sincer, com ‘na lucciola sola, presa al vol: è pcin, el so, mo credme, è schiett e ver e tel regal, sa ‘l cor. E te dig sol
ch’ m’ispiri, com ‘na Musa, sa ‘n piacer dolc e sotil e sa quest me consol. I pensier naschen mej tel pien dle ser quand la ment s’alsa libera com vol.
Acetta sensa ofendte el mi omagg e cerca de non essa piò scontrosa: apressa anca tutt el mi coragg
ch’c’ho mess tel datt sta “pcina pcina cosa”. Tel scur sarà soltant de luc un ragg, o piccarà, con ‘na rosa spinosa.
l Urbinate, ex dipendente in pensione della Benelli Armi, ma attivissimo nella sua nuova mansione di Consulente, ogni tanto alza la testa dai conti e si scopre poeta e narratore. Ad maiora !!!
L'AMICO LUCA (detto FURO) di Luigi Colocci
Sem riunitti al “FONTESPINO”, Ma per fè ‘na gran magnata Che rallegri la serata!
Sem machè per festegè le
prim noss d'na compagnia,
I' la sposa ogg l'ho
cnosciutta: m'è sembrata brava e bella, ben
Sia ben chiar, so' amich
de lo; per ciò quel che dirò adess, ma fra tanta confùsion, cercherem ‘na solusion, sa un discors sobrio e maturo: parlerò solo di Furo!
L'ho cnosciutt ch'aveva
10 ann: era alto e mingherlin
la passion per il
pallone era ‘n vissi di famiglia:
El su ba',
cl'accompagnava al ritrov o al camp sputiv, en perdeva
In tel C.S.I. è
cresciutt ben, ha imparat l'educasion,
Ormai grand e un po'
cresciutt, ha c'minciat la su carriera
Romagnoli e i su
compari, l'han portato sugli altari;
Per un quart di
convenutti, ste storielle del pallon, Alora gim t'la vita privata Ch'é una vera cannonata. A vent'anni e forse più en c'aveva nisciun vissi: per quest è gitt a lavorò da “Spiffy”. I su amidi ginvne a truval; le su amich el trastulavne sa i specchiett e i vetre d'art;
al che “Spiffy”, un po'
adombrat,
“ma che invec d'una
buttega,
Le donn c'ha avut tla
vitta,
Ma alla fin d'una
stagion,
La stagion che v'ho
descritta, era proprio maledetta,
Tutt le ser ch' passa
Dio, erne
ma 'na sera, per
fortuna,
Furo, tutt indolensit,
Ero al Tris un sabte
sera e... non credo più ai miei occhi, all'ingresso c'eran grane
ed in mezzo ho visto
Bame;
A quel punt tutti i
sfigat, ecco là la Monachina.
Qui seduti, a proprio
agio,
La pressione è ai sette
piani, Machè han fatt el compromess per la firma che ogg hann mess.
La mi storia saria
fnitta,
Per la coppia appena
unita,
Dopo un po' di
discussioni, senza frasi al vetriolo,
Quel'ch success tun da
cità,
Tutt le robb c'avem
descritt, hann bisogn d'un gran finale de cla stansa in riva al mare!
Chi magnava questa sera
tutt'sta robba sapuritta,
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