Dott. GAETANO SAVOLDELLI PEDROCCHI Il Saggio Magistrato
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Commemorazione del 17-05-2005 Avv. Giovanni Chiarini |
Commemorazione
del 25-11-2005 Accademia Raffaello |
Presidenza Accademia Raffaello |
Commemorazione nella Sala del Trono del Palazzo Ducale
Urbino, 17 Maggio 2005
Intervento dell'avv. Giovanni Chiarini
Devo dire che, quando mi è stato chiesto di intervenire in occasione della commemorazione del dott. Savoldelli, ho provato sentimenti contrastanti. Da una parte il desiderio, direi quasi l'obbligo morale, di testimoniare il valore di un uomo col quale ho avuto la fortuna di collaborare per tanti anni di servizio prestato, come ufficiale di polizia giudiziaria, presso la Procura della Repubblica di Urbino. Un uomo che è stato, per me come per molti altri, un maestro autorevole, un fratello maggiore, un amico sincero, un consigliere discreto e tanto altro ancora. Dall'altra parte, però, ho avvertito preoccupazione. Il dott. Savoldelli, infatti, non amava le cerimonie solenni o le commemorazioni ufficiali, ricche di altisonanti espressioni di lode alla memoria di chi non c'è più. Sono certo che, anche davanti alla più suggestiva delle frasi pronunciabili in queste occasioni, sul suo viso sarebbe senz'altro apparso quel tipico sorrisetto sornione, quale espressione di benevolo e modesto distacco.
Chi lo conosceva veramente sa che al dott. Savoldelli piaceva, più che ascoltare frasi di circostanza, parlare di episodi reali, che commentava di buon grado, traendone spesso originalissime morali. Per questo voglio limitarmi a raccontare alcuni aneddoti, che - sono sicuro - anche lui avrebbe ascoltato volentieri.
Debbo premettere che il dott. Savoldelli andava fiero del suo lavoro svolto in Urbino, perché qui era riuscito a creare una struttura operativa all'interno della quale, nel tempo, si era venuto a stabilire un rapporto splendido, fatto di amore per le proprie funzioni, di amicizia, stima e rispetto reciproci. Sentimenti, questi, che erano stati corroborati dai numerosi momenti vissuti insieme. Momenti di preoccupazione, di tensione, di emozione, di trepidazione e... perché no? anche di paura, perché non infrequentemente ci si trovava esposti a rischi per la incolumità personale propria ed altrui. E, a questo proposito, consentitemi di ricordare con commozione l'allora capitano Sabino Battista, recentemente scomparso a Milano ove aveva raggiunto il grado di generale di divisione, il maresciallo Salvatore La Monica, anch'egli purtroppo defunto, e tanti altri, pure prematuramente scomparsi.
Col maresciallo La Monica, il dott. Savoldelli ed il sottoscritto, si era formato un autentico trio d'azione indivisibile. Il dott. Savoldelli ed il maresciallo La Monica, coetanei tra loro, erano i saggi del gruppo. Il sottoscritto, più giovane, rappresentava po' la prestanza fisica del gruppo, che poteva però meglio operare proprio grazie ai loro preziosi insegnamenti.
Bene, il dott. Savoldelli amava coordinare l'attività di noi investigatori non dall’esterno, ma stando assieme a noi sia di giorno che di notte. Ricordo che una volta, nel corso di un'indagine molto impegnativa, ebbi a lamentarmi con lui della durezza del nostro mestiere, che ci costringeva a lavorare anche di notte (erano circa le due o le tre del mattino). Mi rispose sorridendo: "Ma come? Dovrebbe invece essere contento. Pensi che a quest'ora tante persone curiose si trovano a guardare storie poliziesche alla televisione. Noi invece le storie poliziesche le viviamo in prima persona". A tale osservazione non mi restò che convenire con lui sul fatto che, in fin dei conti, eravamo dei privilegiati.
E' capitato anche, e non di rado, di aver rischiato la vita. Ebbene, anche in simili frangenti il dott. Savoldelli aveva sempre pronta una frase di contenuto rasserenante. Una volta, stavamo interrogando in carcere un detenuto legato alla criminalità organizzata, che aveva deciso di diventare un collaboratore (cioè un c.d. pentito). Dopo aver reso confessione dei propri misfatti fornendo indicazioni anche su alcuni dei complici, ad un certo punto questo detenuto si bloccò esclamando: "Dottore, non mi faccia altre domande. Se dovessi fare qualche altro nome, per me ci sarebbe pronto un colpo di pistola, e subito dopo la stessa sorte toccherebbe a voi!". Il dott. Savoldelli, col suo sorrisetto disarmante, si limitò a replicargli: "Lei non si preoccupi per noi. Vede, se i suoi amici dovessero ammazzarci, vuol dire che moriremmo tranquilli di aver garantito un sicuro benessere economico alle nostre famiglie, le quali riscuoteranno dallo Stato l'indennità prevista per legge per i caduti a causa di servizio". Il criminale, resosi conto che non era facile intimidire chi lo stava interrogando, non potè far altro che continuare a collaborare.
Il dott. Savoldelli aveva poi un formidabile intuito investigativo. Ricordo e testimonio, ad esempio, che sin dai primi colpi perpetrati dai banditi c.d. "della Uno bianca", i quali tanto sangue hanno poi sparso nella nostra provincia ed in altre vicine, il dott. Savoldelli spesso, parlando con noi investigatori, osservava: "Abbiamo a che fare con delinquenti dotati di una indiscutibile preparazione militare. Orientate le indagini nelle vostre file o nei confronti di ex appartenenti alle forze di polizia o alle forze armate". Ebbene, quando i banditi della Uno bianca vennero catturati anche grazie al suo determinante apporto, si scoprì che si trattava di appartenenti alle forze di polizia ancora in servizio. Quei banditi vennero poi condannati all'ergastolo al termine del processo nel quale il dott. Savoldelli sostenne l'accusa.
Anni addietro, fu denunciata la scomparsa di una giovane 17enne. Nulla lasciava sospettare che si trattasse di qualcosa di diverso rispetto alla solita fuga da casa di una ragazza, la quale peraltro era stata vista negli ultimi tempi in frequente compagnia di alcuni giostrai. Il dott. Savoldelli, tuttavia, non era affatto persuaso di questa ricostruzione e non perdeva occasione per invitare gli investigatori a non sottovalutare il caso, paventando che la giovane fosse stata uccisa. Infatti, le ulteriori indagini svolte dietro il suo impulso consentirono di scoprire che la ragazza era stata assassinata per motivi di gelosia nell'àmbito di un inquietante rapporto omosessuale tra il suo fidanzato e l'assassino, che venne identificato, arrestato e condannato.
Potrei narrare decine e decine di fatti di criminalità risolti grazie all'intuito del dott. Savoldelli. Intuito che gli derivava anche dalla sua vasta e profonda cultura umanistica e giuridica. Proprio a proposito di questo suo intuito, io gli dicevo spesso: "Guardi, dottore, io non credo al paranormale, però a volte penso che lei abbia qualcosa dello stregone".
E tali doti investigative si sono rivelate insostituibili nella risoluzione del caso che più ha appassionato ed impegnato il dott. Savoldelli come tutti gli investigatori coinvolti. Sto parlando, ovviamente, del recupero delle tre opere pittoriche (La Muta, La Flagellazione e La Madonna di Senigallia), rubate dalla locale Galleria la notte di giovedì grasso dell'anno 1975. Quelle opere di inestimabile valore vennero recuperate nel mese di marzo del successivo anno 1976, e furono tratti in arresto gli autori del furto, definito dagli organi della stampa internazionale il più grande che la storia ricordi. Se si volessero descrivere, sia pure solo sommariamente, gli avvenimenti di quei 14 mesi di indagini dirette dal dott. Savoldelli, occorrerebbero senz'altro molteplici volumi. Avvenimenti che, talvolta, apparivano inverosimili agli stessi protagonisti che li vivevano. Ed il dott. Savoldelli era sempre lì a dirigere e coordinare le attività di noi investigatori. Spesso, al termine delle giornate durante le quali ognuno si era dedicato a seguire le varie piste di indagine, ci si riuniva tutti sino a tarda notte per fare il punto della situazione. Il dott. Savoldelli non ci lasciava mai soli. Ricordo che, a proposito delle sue lunghissime permanenze negli uffici della nostra caserma, si scherzava con lui dicendo che avrebbe meritato il grado di "appuntato d'onore dei carabinieri''. Egli, sorridendo divertito, replicava che ne sarebbe stato più che lieto anche perché, nella storia, tale titolo onorifico risultava essere stato conferito solo a Gabriele D'Annunzio.
Del dott. Savoldelli sorprendeva non solo la scaltrezza intellettuale, ma anche l'incredibile resistenza fisica, ad onta del suo aspetto piuttosto minuto. Le indagini per il recupero dei quadri di Urbino sono state estenuanti per tutti gli investigatori, ma soprattutto per lui che, nello stesso tempo, era costretto ad occuparsi del suo ufficio di Procuratore della Repubblica ed a tenere i rapporti con i rappresentanti delle varie autorità locali e nazionali, tutte in trepidazione per la sorte delle opere.
Ad alcune delle riunioni ricordo che partecipò anche il dott. Dante Bernini, all'epoca titolare di questa Soprintendenza. Ricordo anche che il dott. Bernini, dopo che una notte ci eravamo lasciati con determinati accordi, il mattino successivo manifestò la sua meraviglia al dott. Savoldelli, dicendogli: "Ma cosa combinano gli investigatori? La scorsa notte si era deciso di fare una cosa, mentre oggi mi sembra che si stia facendo tutto il contrario". Il dott. Savoldelli, col suo solito sorriso, replicò al dott. Bernini: "Sa, dottore, dopo che ieri notte ci eravamo lasciati per andare a dormire, nuove emergenze ci hanno costretto a riunirci di nuovo ed a variare i programmi" . "Ma allora - chiese sorpreso il dott. Bernini - Voi quando dormite?". Ed il dott. Savoldelli gli rispose: "Praticamente quasi mai. Riusciamo a schiacciare qualche pisolino durante i viaggi in macchina per spostarci nei vari punti di indagine" (Naturalmente la macchina la guidava un autista riposato e ben sveglio!).
Alcune settimane dopo quell'episodio riuscimmo però a recuperare i quadri ed a riportarli nella loro sede naturale qui in Urbino.
Poco tempo fa, nel corso di uno degli ultimi colloqui che ho avuto col dott. Savoldelli (quando già la sua salute era minata dal male che lo affliggeva), mi disse: "Sa, Chiarini, a volte ho la sensazione che gli interlocutori ai quali mi è capitato di raccontare qualcuna delle nostre storie, mi guardino con una certa incredulità, come se si trattasse di rielaborazioni fantasiose di un anziano magistrato in pensione, che si culli nei suoi ricordi''. Aggiunse anche, con tono scherzosamente minaccioso: "Guardi che Lei è uno dei pochissimi testimoni rimasti e, se necessario, io la indicherò sempre come tale". Non potei far altro che rispondere: "E' vero, dottore. Io stesso, quando ripenso alle avventure vissute insieme, faccio fatica a non valutarle inverosimili. E' comprensibile, allora, che gli estranei siano diffidenti. Delle nostre vicende e dei nostri rapporti, arriverà il momento che potremo parlarne solo tra noi, come fanno gli innamorati con le loro storie d'amore!". (Ora, purtroppo, non potremo più raccontarcele).
Pertanto, non voglio abusare oltre della pazienza di chi mi ha ascoltato. Mi limito a concludere rivolgendo un pubblico ringraziamento al dott. Savoldelli, il quale è stato per me un maestro di professione e di vita, un fratello maggiore, un amico, un vero e proprio sostegno al quale potevo sempre ricorrere in qualsiasi circostanza, e dei cui insegnamenti e consigli faccio ancora sempre tesoro, come ben sanno anche i miei figli, ai quali ho sempre cercato di trasmetterli quali valori intangibili.
Abbraccio con molto affetto i familiari del dott. Savoldelli e li prego di considerarmi sempre a loro disposizione, così come lo è sempre stato il dott. Savoldelli per me e per la mia famiglia. Il dott. Savoldelli mancherà tanto a tutti noi. Io, di certo, non lo dimenticherò mai e lo ringrazio di nuovo. Ringraziamento che, ritengo, debbano fargli in tanti, perché tanto è il bene che lui ha fatto al prossimo.
Giovanni Chiarini
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