CRITICA su
Mario
Agnoli: CARLO VANNINI |
Roberto Agnoletti |
Andrea Bolognese |
Aldo Bonan (video) |
Giuseppe Lensi |
Marco Massimiliano Lenzi |
Carlo Vannini |
Vittoriano Innocenti |
Una testimonianza di Carlo Vannini
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L'articolo del Vanni è apparso prima sul N° 44 del Notiziario (Fig. a sx) a breve distanza di tempo dalla scomparsa di Mario Agnoli e in seguito sul N° 47 di Marzo/Aprile del 2018 (Fig. a dx). In questo secondo notiziario la Testimonianza dalla seguente prefazione: In memoria di Mario Agnoli † Nei mesi scorsi si sono tenute a Pistoia e Firenze due presentazioni del romanzo postumo “L’OMBRELLONE”, di Mario Agnoli, che hanno coinciso con la commemorazione della scomparsa dello scrittore, nostro indimenticabile amico, attivo socio collaboratore e soprattutto figura letteraria di primo piano del panorama italiano. Ne diamo testimonianza con la pubblicazione delle due calorose e pregnanti relazioni presentate sia alla Saletta dell’Assessorato alla cultura in Via S .Andrea a Pistoia, sia al salotto “Giubbe Rosse” di Firenze da due noti, eccellenti operatori culturali che animano la vita culturale di Pistoia e del territorio, ossia i Dr. Proff. Marco Massimiliano Lenzi e Carlo Vannini.
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Mario Agnoli: uomo e scrittore d’élite
Uomo splendido, Mario Agnoli, che ha vissuto intensamente, a cominciare
dall' esperienza della seconda guerra mondiale passata, come
antifascista, fra dolori, tribolazioni e traumi indelebili come una
fucilazione evitata solo all'ultimo istante per un contrordine ed una
fuga rocambolesca dalla prigionia che lo costrinse a stenti e privazioni
tali da condurlo a pesare, alto oltre 1,80 cm, appena 40 chili. Laureatosi a pieni voti nell'immediato dopoguerra, è stato fra i più giovani e forse il più giovane Segretario Comunale d'Italia in un paesino, Zoppe' di Cadore, essendo contemporaneamente reggente in altri Comuni del Cadore, prima di approdare a Feltre, lasciando ovunque un'impronta, che non si è cancellata nel tempo, di funzionario capace e pronto a dare risposte sia sul piano tecnico amministrativo, sia sul piano della disponibilità umana e sociale. Mario Agnoli è già in questo primo percorso nel quale unisce all'applicazione e gestione del diritto amministrativo il sentimento di partecipazione e condivisione dei problemi dell'individuo e della comunità. Dava già allora dimostrazione di quel felice intreccio fra ius conditum e ius condendum che sarà alla base del suo Ufficio, nel quale l'inesauribile conoscenza giuridica viene cristallinamente volta e "piegata" alla soluzione di esigenze sociali ed economiche e presuppone sempre un dover essere, un' idealità, la traduzione in una giustizia maggiore. Mai arido cultore di leggi e regolamenti Agnoli, il Segretario Comunale per eccellenza, anche nella città di Pistoia, dove è stato un maestro di soluzioni empiriche improntate alla concretezza, al buon governo, all'etica: un servitore dello Stato di altissimo valore che, senza mai apparire, in modo riservato, ha profuso pareri, orientamenti e indicazioni, anche una volta andato in pensione, a Comuni, Provincie e Regioni d'Italia nel ruolo primario svolto nell'ufficio di consulenza dell' ANCI, l'Associazione dei Comuni d'Italia, collaborando altresì a riviste le più importanti del diritto amministrativo e insegnando anche all'Università. La scienza di quest'uomo era e rimane semplicemente 'spaventosa', la mente lucida e aperta costantemente a nuovi saperi: una mente leonardiana che nel diritto amministrativo aveva il suo ubi consistam, ma traeva la sua origine da un'esigenza culturale più profonda: il rispetto, la valorizzazione, l'esaltazione di tutto ciò che nella vita è bello, giusto e saggio e, insieme, l'impellenza sottesa di accostare i misteri ultimi dell'esistenza. Al fondo, forse traendo sempre origine dalla cultura del padre e dalla sensibilità della madre, Mario ha sempre coltivato in ogni suo atto, un innato umanesimo, regalandoci uno stile di vita ispirato ai più alti valori, che ha come rinvigorito e rinnovato godendo di quel felice incontro che è stato conoscere, amare e camminare insieme a Marina, sua moglie. Certo è che, volgendo lo sguardo sul suo lungo cammino, si può veramente affermare che egli ha fatto fruttare tutti i suoi talleri, le sue doti. Poliedrico, si è interessato e ha scritto di storia, filosofia, sociologia, arte, religione e...letteratura: romanzi e, in particolare, poesie. Si, Mario è stato ed è fondamentalmente un poeta, un grande poeta nel senso più alto e onnicomprensivo del termine, nel significato greco di "creatore", capace di darci continuamente cose nuove, originali e originarie. È in questa prospettiva che prende forma compiuta il senso della sua incessante attività : Mario creatore di diritto amministrativo (si pensi al suo ruolo nella realizzazione del Mercuriale o del Museo Marino Marini a Pistoia), ma anche Mario oceanico scrittore di qualsivoglia aspetto dello scibile umano, critico letterario, componente e presidente di giurie e premi importanti come il "La Pira". Sempre alla ricerca di cose nuove. Si potrebbe dire che " non si è fatto mancare nulla": sacrifici, dolori ma anche gioie, come si è visto, e su tutte le vicende vissute una necessità di riflettere e ricordare per restituirci un messaggio, un contributo, un'emozione e, forse, guardando più lontano, il senso stesso della vita. E quale forma dell'essere, quale parola che fonda e crea, heiddegerianamente parlando, è più adatta a tal fine della poesia e delle lettere? Come ha sottolineato Giuliana Bonacchi Gazzarrini, per scoprire l'identità segreta di Mario Agnoli occorre riandare provocatoriamente all'ammonimento di Hoerderlin : "...un dio è l'uomo quando sogna, un mendico quando riflette". Si, apparentemente incredibile, ma è così. Qui, nella poesia e nel racconto, in una straordinaria applicazione dell'immaginazione di kantiana memoria, il grande esperto del diritto, finalmente libero da ogni vincolo contingente, esprime se stesso, la sua anima e svela il proprio io: il tratto gentile e l'eterna giovinezza del suo essere, il sentire profondo, la tensione morale verso una società rinnovata Basta venire al romanzo " L'ombrellone ", l'ultimo di una trilogia della quale fanno parte anche "La fuga" e "La croda rossa". Ci sono pagine significative al riguardo. Per esempio quelle dedicate al dopoguerra, con l'aspirazione ad una società più equa, ovvero i ritorni costanti al tema dell'utopia, sul quale si sofferma il protagonista Luigi Neri. Qui c'è Mario e il suo sentimento di quel mondo migliore per il quale è vissuto e si è speso, aiutando il prossimo e la comunità, come fa lo stesso Luigi nella sua esperienza carceraria e nel momento tragico dell'inondazione che colpisce la sua terra: Agnoli stesso, lo sappiamo, si è direttamente interessato dei carcerati, sviluppando la lezione di Cesare Beccaria. Volendo, si potrebbe dire che molti dei temi e soggetti del Nostro rimandano a tracce più o meno intense ed importanti della sua vita, della sua biografia. In questo aveva un riferimento assoluto in un grande poeta del Novecento: Mario Luzi e la sua celebrazione drammatica dell'autobiografia, con in risalto il conflitto fra un io portato per le cose sublimi e i riscontri terreni. Per contro si veda quanto scrive il protagonista del romanzo, alias Agnoli, intorno alla sua produzione poetica e letteraria, alla quale si dedica al di là della sua professione di giornalista: "...è legata alle stagioni della vita, con i relativi accosti, le connotazioni temporali, le tribolazioni, le inquietudini, i nuovi sentieri, i frammenti, le ombre sulle proiezioni luminose". La relazione fra lo scrittore e il protagonista è talora talmente forte che questi, in altro passo del racconto, allude ad una nuova futura trilogia di romanzi da dare alle stampe, proprio come era intenzione di Mario Agnoli per il prossimo futuro... Ad adiuvandum. Nella Prefazione al primo romanzo, ovvero "La fuga", egli stesso parla della sua narrazione come " adesione allo sviluppo sistematico degli avvenimenti storici che corrisponde ad un'esigenza storica senza tuttavia impedire alla fantasia di costruire situazioni oltre il piano personale " e ci dice espressamente di "voler ricostruire" e "far rivivere con i suoi personaggi buona parte delle vicende storiche del primo dopoguerra sino agli anni '80, riprendendo aspetti fantastici e vissuti sofferti e gioiosi dell'autore". Non solo. Nella stessa Prefazione, che è come un'introduzione all'intera trilogia, scrive: "Alcuni fatti sono sorretti dalla ricerca spirituale, con ampi spazi riservati al dialogo", come a confermare che le vicende narrate diventano anche occasione di riflessione, approfondimento e direi sublimazione di vita vissuta in carne e ossa . E infine, nella Presentazione de "L'ombrellone", sottolinea che in esso "sono evidenziati in particolare i ricordi. Il passato è una componente essenziale della mia narrativa in cui la fuga non riesce in alcun modo ad essere indenne dal continuo ripristino del vissuto". La lotta continua, che i suoi personaggi, come Luigi ne "L'ombrellone", hanno sostenuto prima e dopo la guerra, è contemporaneamente autobiografica e universale: in essa ciascuno può riconoscersi come uomo. Le esperienze vissute dall'Agnoli, uomini ambienti cose, divengono materia per rappresentare realtà e vicende dense di significati, "a volte scandagliati nel loro simbolismo concettuale, - come ha scritto Fabio Flego -, a volte volutamente oscuri, per un bisogno forte di continuare a pensare sulle cose rimaste in sospeso", sui dubbi, sui silenzi dell'essere. I protagonisti, in particolare, si muovono su più piani e con diversi interessi e fini, ma in tutti è presente l'Autore come narratore, confessore, giudice, critico, intellettuale impegnato, uomo che si sofferma, infine, cristianamente e laicamente sui grandi architravi della storia: il bene e il male. Il tutto in forme e storie apparentemente "leggere " o "lievi". "L'ombrellone", per esempio, si presenta come una "pièce teatrale" nella quale si svolge una narrazione di accadimenti e scene fra loro concatenate, dove entrano ed escono figure cui spetta la funzione di 'spalla' dei veri protagonisti, Luigi ed Elisa, con il loro amore sofferto e contrastato che costituisce il leit motiv dell'opera. In essa si fondono due cifre stilistiche e relativi piani narrativi: le vicende delle persone e quelle storiche del secondo dopoguerra (la ricostruzione delle città, il boom economico, il '68) arricchite da un piccolo e autentico giallo, ossia un furto di gioielli. Tale scenario, insieme ad un ombrellone di una spiaggia immaginaria in quel di Torre marina e all'albergo detto Delle Palme, costituisce lo sfondo sul quale si sviluppa il romanzo. La ricostruzione del dopoguerra è affidata alla rappresentazione di città 'allusive', Coriola e Lusinia, (l'una più industriale l'altra più volta ai servizi), e alla nascita di circoli culturali, mentre il '68 viene adombrato nella discussione sulla scuola fra Elisa e la sua amica Mary, entrambe insegnanti. È una ricostruzione lucida, per certi aspetti anche analitica, con accenni all'urbanistica, alla gestione amministrativa della cosa pubblica, al fervore culturale del tempo, ma persiste sempre una tendenza sui generis a dare agli eventi un significato metaforico e analogico. Lo stesso titolo del romanzo rimanda ad un'immagine, l'ombrellone, sotto il quale si raccolgono e si raccontano le persone, le relazioni umane, i sogni, le cose futili, la vita. In realtà in ogni pagina si dispiega quel "pensiero poetante" che è il segno costante della sua opera letteraria dove, come nello Zibaldone leopardiano, confluiscono pensieri e riflessioni allo stato puro. Contemporaneamente, all'interno stesso del lungo percorso creativo che va dalle prime alle ultime poesie, si è venuto affermando ed affinando nel Nostro un lirismo coinvolgente ed emozionante, nel quale una delicata sensibilità si accompagna ad un uso sempre più felice della tecnica espressiva, dove confluisce la lezione dei classici, del Foscolo, del Leopardi, del Pascoli e dei moderni come Montale, Ungaretti e, per venire più vicino ai nostri giorni, come Giorgio Caproni con quella sua raffinata perizia metrico stilistica unita a immediatezza e chiarezza di sentimenti. Quel lirismo è presente anche qui ne "L'ombrellone" dove, ancora una volta, Mario Agnoli affida alla poesia, alle poesie ivi presenti, la funzione di cogliere ed esprimere gli stati d'animo più profondi, i moti che si manifestano nel nostro inconscio, discoprendo più o meno velatamente e misteriosamente le nostre angosce, speranze, gioie: in modo impalpabile, come se alla poesia affidasse rispetto alla narrazione, il compito di esprimere intimamente la sua visione della vita e del creato. Ma, rispetto agli altri romanzi, in questo la stessa componente narrativa acquista ancora più forza e profondità espressiva, fondendo nel racconto, in una prosa originale e complessa, categorie dello spirito e universi diversi come il sentimento e la ragione, l'arte, la filosofia, la sociologia e la psicologia, con una componente-dominante a se che non possiamo non sottolineare: la rappresentazione potente, volta a volta dolce, triste o gioiosa della natura che, come interiorizzata, diventa paradigma dell'animo umano. Sarebbe bello e interessante avviare uno studio sulla cosmogonia del Nostro, sulla centralità del vento, per esempio, che è come l'avemos greco, lo spirito vitale; o quello degli orizzonti aperti o stellati, le montagne, le valli, i fiumi, le stagioni, le albe, i tramonti; o quello di alcuni fiori, piante, alberi...in primis la betulla, che si erge fiera della fierezza e leggiadria con la quale ha vissuto Mario. Il nostro nella natura sembra vedere proprio un luogo privilegiato dove il mutare ciclico del tempo acquista senso e significato. Quel senso e significato che spesso sembra sfuggire nella vita dei suoi personaggi, anche in questo racconto, travolti da eventi repentini e oscuri, sempre alla ricerca del perché delle cose, in bilico fra il bene e il male, la salvezza e la perdizione. Per Mario Agnoli, infatti, l'esistere è sofferenza, dolore, ingiustizia, ma anche volontà e aspirazione ad altro. Con una Weltanschauung che richiama il pessimismo romantico eroico di Leopardi e non decadente di Schopenhauer, sulle orme di Dostoevskij, egli indica infine nella bellezza un possibile riscatto dal dolore, dal male e dall' ingiustizia dell'uomo. Una bellezza, in verità, non solo estetica, ma umana, piena di giustizia sociale e di intima felicità individuale: ancora una volta quel connubio fra reale e ideale che costituisce l'essenza più autentica di un intellettuale ancora 'impegnato' e volitivo (nonostante l'età) nel perseguire la purezza del sentire con la profonda aspirazione ad una palingenesi spirituale dal 'male di vivere' di montaliana memoria. Ed è proprio nella consapevole esistenza di questa spiritualità che, sulle orme di Kierkegaard, è presente costantemente nelle sue opere, e quindi anche ne "L'ombrellone", l' angoscia e la tensione di chi scopre che tutto è possibile e nulla è possibile, la vertigine di scegliere infine fra il bene e il male, con un libero arbitrio che diventa possibilità assoluta. Anche di espiare per delitti non commessi senza difendersi poiché, scrive, " siamo maschere alla ricerca di un'identità" dove "i riscontri della nostra quotidianità", per tornare ad un tema già accennato, " sono solo convenzioni sociali". C'è negli "attori", nelle figure descritte, nei loro drammi e contraddizioni, molto del grande Feodor Dostoevskij, con gli amori e le passioni contrastate, la presenza diabolica del male, la perversione e il tradimento e , insieme, la "resurrezione". Volendo si potrebbe affermare che nelle sue opere c'è specificamente molto dei fratelli Karamazov con i loro diversi stili di vita. Ma...se è vero questo è pure vero che, anche in quest'ultima opera, nelle parole di Luigi Neri espresse nel suo incontro con Padre Pacifico, emerge con chiarezza come in Mario Agnoli la bellezza, in quanto finalità dell'uomo, è e deve sempre essere accompagnata dalla speranza, dall'amore, dalla verità e dalla giustizia. Questo, sembra dirci, è l'asse sul quale dipanare il nostro sentiero, il nostro impegno (di vita), essendo comunque consapevoli che esistenzialmente : "non esiste la regola del divenire, soltanto un filo di seta dove si appendono le speranze" e all'uomo non resta altra scelta che "avvitarsi al ramo della ragione come un tralcio d'edera alla mansarda delle illusioni così vicino al cielo da sembrare una pertinenza di nube". Qui, come egli scrive, in questo stato, che è il punto più alto della razionalità e laicità nel quale tenersi, il poeta è come se si trovasse in sospensione e avvertisse che comunque manca qualcosa all'uomo Prometeo -"colui che riflette prima"- per rubare il fuoco agli dei e conservarlo per sempre. In questo scarto, in questo vuoto che si crea nel pensiero pensante di Mario Agnoli, si affaccia un'ultima categoria dello spirito, rimasta sempre nascosta sotto la cenere, ovvero presente solo nei brevi colloqui di Luigi Neri con Padre Pacifico: qui, ne "L'ombrellone", e nelle figure religiose presenti negli altri romanzi, si profilo lo scopo della preghiera, della fede. A fronte di Luigi che sottolinea come " l'uomo è attratto dai beni materiali ", il teologo risponde: "...questo ha senso in un mondo di uomini indifferenti, la fede fornisce gli strumenti di conoscenza e alcuni di questi sono riposti nella preghiera". Sotto la cenere, come nella sua vita, dove Mario non ha mai esposto il suo credo, come fanno in molti farisaicamente, appare l'uomo religioso e si scopre un'altra faccia o valenza della sua opera. Una valenza fondamentale perché, ancorché sotto traccia, nascosta, coltivata in modo interiore, quella fiamma, la fede, conosciuta sin da piccolo, è rimasta sempre accesa e ha illuminato e come 'indorato' le sue opere squisitamente laiche, la sua scienza e conoscenza ed ha inverato i valori morali con i quali, testimoniandoli, ha vissuto. Da qui quella ricerca costante, sempre presente, anche nei protagonisti Luigi, Elisa, ma anche Giovanni,de "L'ombrellone", a scandagliare i moti più segreti dell'anima, interrogando la propria coscienza, come in un dialogo con il proprio io che richiama quel "redi in te ipsum" di S. Agostino che, a parer nostro e più di quanto non sembri a prima vista, sottosta alla poetica del Nostro, come fondamento ultimo di qualsivoglia catarsi; tale catarsi può sfociare nell'affermazione come nell'annientamento della vita, quella autentica, come avviene nel romanzo anche in Luigi e Giovanni con due opposti esiti. Piace allora pensare che in ultimo, proprio con quella fede che lo accompagnava, guardando Dio faccia a faccia, Mario Agnoli ci abbia lasciato le ultime parole di questo romanzo dove, parlando dell'indugiare dell'uomo, aggiunge: " vorrei dove il muro ritaglia i silenzi nell'ultima ora del giorno che muore". Un'infinita malinconia accompagna queste parole che tradiscono, oltre le fatiche della vita, l'ansia di scoprire l'ultimo confine per guardare oltre. È una malinconia, quella del silenzio, delle ombre della sera, spesso presente. Un'intera sua raccolta di poesie porta il titolo"Esperia", dove la parola per un verso afferisce alla speranza, ma anche ad Espero, la stella della sera con la nostalgia delle persone perdute e delle esperienze vissute. Ricordo che egli aggiunse un ultimo rimando, quello alle "Esperidi", al giardino interiore dove, sono parole sue , " l'albero dei pomi d'oro della poesia risplende nella luce viva dei sentimenti e dell'appartenenza umana". Ecco, è riandando a queste parole che la malinconia, pervasiva e travolgente nel finale del suo ultimo romanzo, si scioglie nella certezza che la sua opera umana e poetica in senso lato, i suoi "pomi d'oro", continueranno non solo ad essere presenti, a confortarci e illuminarci nei nostri indugi, nelle nostre incertezze e nei nostri interrogativi di vita, ma anche ad accompagnarci nell'aspirazione a costruire un mondo e uomini migliori. Si tratta di un fine per il quale le lettere possono concorrere in forma intima, ma in modo determinante e duraturo, per ricondurci a quella "Riconquista dell'essere" alla quale Mario Agnoli ha dedicato e emblematicamente intitolato la sua trilogia. Quelle stesse lettere, la poesia come la narrativa, per le quali , intese e vissute in questa funzione, Mario ha ha dato tanto e per le quali siamo convinti meriti un sempre più ampio e dovuto riconoscimento dal mondo della critica letteraria italiana. Carlo Vannini
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