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 CRITICA   su     Mario Agnoli MARCO MASSIMILIANo LENZI
 

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PER MARIO AGNOLI
Una testimonianza di Marco Massimiliano Lenzi Pubblicato in "Leopardi News Letter N° 47
Marzo/Aprile 2018

 

Premessa

Nei mesi scorsi si sono tenute a Pistoia e Firenze due presentazioni del romanzo postumo

 “L’OMBRELLONE”, di Mario Agnoli,

che hanno coinciso con la commemorazione della scomparsa dello scrittore, nostro indimenticabile amico, attivo socio collaboratore e soprattutto figura letteraria di primo piano del panorama italiano. Ne diamo testimonianza con la pubblicazione delle due  calorose e pregnanti relazioni presentate sia alla Saletta dell’Assessorato alla cultura in Via S .Andrea a Pistoia, sia al salotto “Giubbe Rosse” di Firenze da due noti, eccellenti operatori culturali che animano la vita culturale di Pistoia e del territorio, ossia i Dr. Proff. Marco Massimiliano Lenzi e Carlo Vannini.

 

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PER MARIO AGNOLI

Una testimonianza di Marco Massimiliano Lenzi

 

Dagli incontri, dalle conversazioni avute con Mario Agnoli  e  leggendo alcuni dei suoi lavori, mi sono reso conto di trovarmi di fronte ad una personalità complessa e sottilmente articolata: studioso di diritto amministrativo ad altissimo livello, saggista, docente, impegnato in ambito politico-amministrativo (ambito in cui aveva ricoperto importanti cariche), poeta, scrittore, critico interessato a tutti gli aspetti dell’arte.  E, mi preme sottolinearlo, uomo di fede; ma di una religiosità non esibita.

Tuttavia, cosa rara, questi aspetti presentavano un’intima coesione. Uso il termine coesione e non semplicemente coerenza, perché quest’ultima implica comunque una certo sforzo, mentre in Agnoli era ben individuabile la  naturalezza, la gratuità con cui ciò si esprimeva.

-Potrei qualificare Mario Agnoli come un uomo di cultura, un autentico intellettuale a tutto tondo, cosa estremamente rara da riscontrare. Perché rara? Perché Agnoli era veramente al servizio della cultura in tutte le manifestazioni che ho indicato e non poneva certo la cultura al proprio servizio, ai fini di un’affermazione personale. Inoltre, in lui era ben evidente (ed è ciò che contraddistingue il vero intellettuale) fino all’ultimo il desiderio di conoscere e di imparare, direi quasi il dovere di farlo. Così come il genuino interesse  per il lavoro intellettuale degli altri.

-Se dovessi sintetizzare in una cifra simbolica l’esperienza esistenziale di Agnoli,  a partire dalla sua produzione letteraria e poetica, ma non solo,  la qualificherei come: “lucidità appassionata”. Il che può quasi apparire una contraddizione in termini, un ossimoro. Ma non è così.

-L’attenta presenza esistenziale di Agnoli è contraddistinta (e questo emerge particolarmente dall’opera narrativa) da un rigoroso impianto logico-analitico, uno sforzo continuo di oggettivazione  per acquisire  una sempre più profonda presa di coscienza.  Questa lucida, spesso dolorosa disamina investe, con dovizia di dettagli, la realtà sociale, storica e storico-culturale, mai intesa come separata dalle vicende delle esistenze individuali e dalle dinamiche dei rapporti interpersonali. Ciò emerge dalla messa in scena di personaggi, vicende e situazioni appartenenti a questo suo ultimo romanzo  L’ombrellone.  E’ soltanto all’interno di questa tessitura narrativa che può emergere con maggior chiarezza quella «successione degli stati dell’essere» (così si esprime Agnoli nelle pagine de L’ombrellone) che è  il punto caldo di convergenza  della sua analisi. Stati che implicano la simultaneità della componente riflessiva e di quella emotiva, dei sentimenti, della dimensione individuale e di quella sociale.

-Potremmo dire allora che l’istanza fondamentale di Agnoli è quella della conoscenza, intesa però non come accumulo di nozioni, bensì come ricerca appassionata di consapevolezza. In questo processo la razionalità, l’ingiunzione logico-analitica, vengono spinte all’ estremo mostrando così il proprio, invalicabile limite.  E’ qui, a mio avviso, che si rivela il vero protagonista dei romanzi e della poesia di Agnoli:  il senso del Mistero; il sentimento di un’altra trama dell’esistenza, solo in parte e per frammenti accessibile: quella tessuta dall’Invisibile, dall’imponderabile, decisa da un Potere superiore, di ordine trascendente

-E’ qui che la religiosità di Agnoli si mostra come Fede sì radicata, ma non facilmente assertiva, bensì fortemente interlocutoria, costantemente incalzata dalle esigenze della ragione, dal confronto umano e metafisico insieme del Bene e del Male, della giustizia e del sopruso, del diritto e della prevaricazione, della facile menzogna e della difficile verità da cercare; senza soluzione di continuità tra dimensione individuale e dimensione storico-sociale.

-E’ su questo arduo crinale che si mette alla prova l’uomo, l’intellettuale, il poeta. Come? Accettando la sfida di “abitare”  questo confronto, di non rifiutare o rimuovere la presenza immanente del Mistero, dell’imponderabile ripiegandosi su una individualismo esasperato e pessimista, su una quotidianità sfibrata, su una autoreferenzialità elevata a norma assoluta, come purtroppo è di gran parte della narrativa e della poesia contemporanee. 

- Per evidenziare il senso di questa sfida, accettata da Agnoli, vorrei soffermarmi un momento sulla sua poesia. Infatti, come sottolinea la moglie Marina, in un toccante ricordo, è all’anelito alla poesia che soprattutto Agnoli ha affidato la sua traccia nel mondo. E, aggiungerei, senza conoscere la poesia di Agnoli non si può penetrare compiutamente la sua opera narrativa.

-Quello che, a mio avviso, contraddistingue la poesia di Agnoli è il tentativo di giungere a quello che può essere definito come pensiero poetante o poesia pensante. Mi spiego semplificando al massimo. La poesia non è qui intesa come mera espressione di stati d’animo, sentimenti cui si accompagna una qualche forma di riflessione; bensì è il farsi stesso della poesia che muove, genera una particolare forma di pensiero, insieme simbolica e discorsiva. Vale a dire che la poesia, a questo livello, rivela tutta la propria  valenza  conoscitiva, confrontandosi costantemente con il Silenzio da cui si origina, ossia con ciò che è indicibile e che pure è intensamente presente. Da questo Silenzio proviene la parola poetica e ad esso riconduce. 

-Da qui, la estrema sensibilità linguistica mostrata da Agnoli, l’equilibrata formazione delle immagini poetiche in cui la forza evocativa del simbolo non può prescindere da un’alta, affilata consapevolezza linguistica. La stessa che, per altro, ritroviamo nei romanzi sebbene regolata da altre esigenze stilistiche.

-Vorrei, per concludere, portare brevemente l’attenzione su un ultimo, ma fondamentale elemento che attraversa,  come un circuito interno, la figura e l’opera di Agnoli: la cognizione del bene.  Questo, non è assolutamente da intendersi nella prospettiva propria al relativismo, poiché esso  per Agnoli  si origina nella Trascendenza, nel Divino; né, tantomeno, è assoggettabile a mere istanze individualistiche. 

-Ritengo, inoltre, che per Agnoli il bene non sia qualcosa di già compiutamente dato: quando da parte

dell’uomo vi è la scelta del bene e non del male, allora e soltanto allora il bene esiste veramente. Bisogna poi sottolineare che la concezione del bene  implica, in sé, quella di verità, di bellezza di giustizia, nel solco della nostra tradizione umanistica. Questa però, in una prospettiva pienamente cristiana, ha come fulcro la Redenzione, il che comporta la determinante presenza del libero arbitrio, l’imprescindibilità della scelta.

-La passività dunque, il non scegliere, la rinuncia è il male, quel male che conduce inevitabilmente alla nullificazione dell’esistenza. Scrive Agnoli: «Il male non è un’avvisaglia dello sgomento, un insabbiamento dell’essere, è rinuncia». 

-A ben vedere,  Luigi, il protagonista di questo romanzo (e in buona parte alter-ego del narratore)  nel proprio rovello esistenziale ed artistico  cerca costantemente di perseguire il bene (con tutte le implicazioni che ho detto) al di là della contingenza, dell’illusorietà delle apparenze, delle incertezze, del proprio tornaconto, fino all’autosacrificio. Fino all’accettazione di una condanna e di una reclusione del tutto ingiuste, trasformandole in una occasione per cambiare in meglio la vita degli altri detenuti. Anche la continua elaborazione del proprio stile, i dubbi, gli interrogativi, le trasformazioni da parte del protagonista del romanzo, cercano di rispondere ad un’esigenza di verità per porsi adeguatamente dentro (e non semplicemente di fronte) alle mutevoli condizioni socio-culturali, per ricercare un difficile orientamento condivisibile. Anche questo è il compito dell’intellettuale, dello scrittore.

-Agnoli con ciò, sembra volerci ricordare che solo il bene, inteso in tutta la sua complessità, può dare realmente un senso alla nostra esistenza, quel senso che, antropologicamente, è bisogno primario dell’uomo in quanto tale e che soltanto può condurre ad un progetto reale, indirizzare la vita di ognuno e della collettività illuminando la contingenza, la quotidianità con una luce  diversa, perenne, perché di origine non umana. 

Soltanto attraverso ciò l’uomo può aprirsi alla propria dimensione totale, affacciandosi sull’Infinito.

Scrive Agnoli (da Dove cresce il cipresso) nella poesia “Il diritto come morale”:

«Tutto è del nulla ove prevalga il non senso

Pure l’indugio è fuga dell’essere

Solo la cognizione del bene è profumo d’eterno».

Marco Massimiliano Lenzi        

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