BIOGRAFIA
a cura di Leonardo Monopoli
"Mi
piace chiamarmi Volponi e penso all'eroismo della volpe che, presa
in trappola, si morde la zampa pur di scappare. Io sono così, non
riesco a rimanere chiuso in trappola e mi strappo la gamba pur di
scappare."(1)
Paolo Volponi nasce a Urbino il 6 febbraio 1924. I genitori non
vanno molto d'accordo tra loro e il figlio cresce perciò timido e
impacciato. A scuola impara poco, causa la timidezza e l'austerità
degli insegnanti; molto di più apprende nei vagabondaggi in paese,
tra personaggi un po' bizzarri ma genuini. Cosa lo ha salvato dalle
brutture della strada e reso un intellettuale? Sicuramente la
fortissima curiosità verso una cultura reale.
Un
compagno più grande, un ex seminarista malato di epilessia e poi
rinchiuso in manicomio dalla cattiveria della società, lo induce a
leggere la Divina Commedia, che gli dà forte impressione e
costituisce il primo appello da parte della cultura a un dovere
soprattutto morale.
Verso i diciassette anni comincia a scrivere i primi racconti,
realistici ma dal tono ritmico, quasi dannunziano. Nella Galleria
Nazionale delle Marche ha l'incontro decisivo con la grande pittura
italiana.
Nel
luglio del 1943 consegue la maturità classica e a settembre si
iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Urbino. Chiamato alle armi
dalla Repubblica sociale italiana, si imbosca entrando invece a far
parte per breve tempo di una banda di partigiani. Quando le truppe
alleate arrivano a Urbino, inizia a scrivere le prime poesie, per
uscire da se stesso e costituire un rapporto col mondo.
Nel
1947 si laurea in legge e superato l'esame di procuratore legale, si
iscrive all'albo dell'ordine forense. Fa sue le idee repubblicane
del Partito d'Azione e già sogna di andar via da Urbino per dare un
contributo importante al progresso della nazione. Intanto sottopone
le sue poesie al giudizio di Carlo Bo, che gli dice che le può
pubblicare: vede quindi la luce nel 1948 il volumetto Il ramarro,
con tiratura limitata di 120 esemplari.
Dal
1948 frequenta Milano, dove incontra uomini come Montale, Vittorini,
Sereni e, nel campo industriale, Adriano Olivetti, che tra il '50 e
il '54 impiegherà il giovane Volponi in una serie di inchieste
nell'Italia meridionale, in vista della ricostruzione non solo
edilizia ma anche del tessuto socio-economico. A Matera, in
particolare, conoscerà Carlo Levi e Rocco Scotellaro.
Nel
'54 va a Roma. Presso il Cepas coordina le inchieste sociali nelle
comunità rurali appenniniche e dirige la rivista «Centro sociale».
A
Pietrasanta, in occasione del Premio Nazionale di poesia Giosuè
Carducci 1954, avviene il primo incontro con Pier Paolo Pasolini,
col quale vince il premio ex aequo. Dopo una iniziale
incomprensione, perché a Pasolini non va molto a genio di essere
accomunato al "modesto Volponi", i due diventano amici, compagni
inseparabili di lunghe passeggiate nella Città eterna.
Pasolini gli suggerisce la via del romanzo. Insieme
all'intellettuale friulano e a Roversi e Leonetti, parteciperà pure
ad alcune riunioni romane e bolognesi per la fondazione della
rivista «Officina».
Nel
'56 assume la direzione dei servizi sociali dell'Olivetti a Ivrea.
L'illuminismo di Adriano Olivetti gli permette di realizzare alcune
politiche di democratizzazione dei rapporti tra operai, dirigenti e
padroni d'industria, oltre che far progredire la qualità della vita
dei dipendenti, mediante mensa, assistenza medica, asili e colonie
estive per i figli degli operai, iniziative culturali.
Nel
'59 sposa Giovina Jannello, assistente personale di Adriano
Olivetti. Avranno due figli: Caterina e Roberto.
La
morte di Olivetti, avvenuta nel 1960, lo porta a comprendere che
l'Italia ha perduto forse l'unico che poteva dare un impulso
democratico al Paese, oltre che all'industria stessa.
Il
suo primo romanzo, Memoriale, esce da Garzanti nel marzo del
'62. Recita la parte di un giovane prete sul set del film di
Pasolini Mamma Roma. Il secondo romanzo pubblicato, La
macchina mondiale (1965), vince il premio Strega.
Nel
marzo del 1966 muore tragicamente il padre, lanciandosi con la sua
auto da un tornante, a causa del fallimento della fornace di
proprietà. Lo scrittore è amareggiato, anche verso se stesso, perché
non è riuscito a prevenire quell'evento dialogando ed aiutando il
padre.
Lo
stesso anno diviene capo del personale dell'Olivetti e promuove la
riscoperta di un artigianato intelligente all'interno della fabbrica
e la formazione permanente del personale.
Continua a coltivare la passione di reperimento di opere d'arte tra
antiquari e collezionisti (ama soprattutto le nature morte di
Morandi, la pittura fiamminga olandese e il barocco genovese e
portoghese). Pasolini gli chiede di interpretare Giotto nel suo film
Decameron, ma lui rifiuta, per il decoro della sua immagine
di dirigente d'azienda (però negli anni successivi si pentirà di non
aver accontentato il suo "maestro").
Nel
'71 Bruno Visentini gli offre la carica di amministratore delegato
della Olivetti, ma spaventato dai progetti a suo parere troppo
rivoluzionari di Volponi, decide di affiancargli l'ex ammiraglio
Ottorino Beltrami. Volponi rassegna le dimissioni, perché comprende
ormai che Visentini, probabilmente per accontentare gli azionisti e
Confindustria, non condivide la sua utopia di industria democratica
quale era nelle intenzioni di Adriano Olivetti.
La
sua lotta per democratizzare le aziende viene considerata dai
padroni come un peccato mortale.
Umberto Agnelli lo invita a studiare per conto della Fiat, i
rapporti fra città e fabbrica. Nel '74 pubblica il romanzo
Corporale.
Nel
'75 diviene segretario generale della Fondazione Agnelli, ma poiché
annuncia pubblicamente che voterà per il Partito comunista alle
imminenti elezioni amministrative, è costretto a dimettersi; dopo il
voto nettamente favorevole per i comunisti, Gianni Agnelli gli
chiede di tornare alla sua carica, ma Volponi rifiuta.
Pasolini, qualche tempo prima di essere ammazzato, gli chiede
informazioni e materiali sui processi aziendali, per la scrittura
del romanzo Petrolio, che narra le vicende di un dirigente
industriale in crisi.
Nel
delitto Pasolini, vedrà un disegno politico della classe dominante,
realizzato poi da fanatici e sicari senza testa.
Guarda con favore all'ipotesi di "compromesso storico" e di
solidarietà nazionale.
Nel
'78 è tra i fondatori della rivista «Alfabeta».
Nell'83 viene eletto senatore nel collegio di Urbino come
indipendente nelle liste del Pci. Porterà in Senato le sue idee di
una industria liberante e veramente al servizio della collettività,
piuttosto che del capitale.
Nell'86 gli muore la madre, dopo una lunga malattia da lei
affrontata con coraggio. Prosegue intanto la sua attività di
scrittore e poeta, con nuove pubblicazioni.
Nell'89 è la volta de Le mosche del capitale. Il 3 settembre
perde il figlio Roberto, di ventisette anni, nel disastro aereo di
l'Avana. Comincia a soffrire da allora di attacchi di angina
pectoris. Ciononostante continua a fare discorsi pubblici, in
Parlamento e nelle manifestazioni dei comunisti.
Nel
'91 aderisce a Rifondazione comunista. Quando scoppia la guerra nel
Golfo Persico, è contrario all'intervento delle truppe italiane.
Vince il premio Strega col romanzo La strada per Roma.
Pubblica la raccolta di poesie Nel silenzio campale. Prende
posizione in versi contro la mafia (in Poeti contro la mafia,
La luna, Palermo 1994). Dona parte dei propri quadri alla Galleria
Nazionale delle Marche, affinché siano esposti permanentemente a
ricordo del figlio Roberto, giovane innocente e coraggioso, con la
voglia di agire autenticamente in un mondo che invece delude ogni
attivismo disinteressato.
Nel
'92 viene eletto alla Camera, ma le condizioni di salute si
aggravano. Gli applicano tre by-pass coronarici e comincia
anche il calvario della dialisi. Nel '93 si ritira dall'attività
parlamentare, soprattutto per la salute malferma, ma anche per
contrasti all'interno del partito di Rifondazione comunista, che
secondo lui avrebbe dovuto essere più un largo movimento di base
anziché cedere "in tutto alle vecchie suggestioni degli apparati e
dell'interesse di partito."(2)
Il
18 dicembre ritira a Urbino il premio Raffaello «per l'alto e
originalissimo contributo portato alla cultura italiana del
Novecento». Nel '94 raccoglie alcuni scritti minori degli anni
1977-90 nel volume Scritti dal margine, a cura di Emanuele
Zinato, per i tipi di Manni (Lecce). Pubblica un dialogo con
Francesco Leonetti presso Einaudi, Il leone e la volpe.
Gli
ultimi mesi di vita sono tormentati dall'insonnia e da vari ricoveri
ospedalieri. Nel pomeriggio del 23 agosto 1994 muore per infarto
cardiaco all'ospedale Le Torrette di Ancona. Viene sepolto accanto
al figlio nel cimitero di San Cipriano di Urbino.
(1)
Volponi Paolo, Quello che sarà domani non ha una forma già
prestabilita, intervista a cura di Emanuele Zinato, in Id.,
Scritti dal margine, Manni, Lecce 1994, p. 181.
(2)
ivi, p. 179. |